Anche gli economisti non possono prevedere cosa accadra’ nell’economia reale

Se la banca centrale alza i tassi, quando e di quanto scenderanno i prezzi? e che effetto avrà questa manovra sull’occupazione, sugli investimenti, sul Pil? Se imprese e famiglie si aspettano una certa decisione dalle autorità monetarie e fiscali, non si comporteranno da subito come se quella decisione fosse già presa? Che cosa succede se la manovra monetaria o fiscale spiazza le aspettative degli operatori? E se modifichiamo i contribuiti sociali, di quanto varia l’offerta di lavoro?

Le risposte a queste domande, e le relazioni fra i vari fattori e le politiche economiche, non sono univoche. In definitiva, è difficile stabilire con certezza se è la politica economica che influisce sull’andamento dell’economia o se piuttosto sono le variabili economiche non controllabili che causano determinate politiche monetarie e fiscali.

Thomas J. Sargent e Christopher A. Sims – i due economisti “laureati” dalla Banca centrale di Svezia con il premio in memoria di Alfred Nobel – hanno passato la loro vita a farsi queste domande.

Lo diciamo subito: non hanno trovato risposte definitive. Con buona pace di quei politici e regolatori che pensano di avere soluzioni infallibili e strumenti per conseguirli.

Sargent e Sims hanno però trovato metodologie e strumenti che oggi sono di uso comune fra gli economisti. Nell’accademia ma anche all’interno delle banche centrali. Il paradosso dei Nobel per l’economia 2011 è che «è un bellissimo premio a due scienziati seri ed è un premio per averci provato ed aver fallito», commenta Michele Boldrin, professore alla Facoltà di Economia della Washington University di St. Louis. La sua voce non nasconde la contentezza per il riconoscimento a due studiosi con cui condivide un senso di appartenenza a quella fucina di talenti economici che dagli anni ’70 in avanti è stata la University of Minnesota, a Minneapolis.

«Non è che utilizzando i loro strumenti abbiamo migliorato granché le previsioni economiche, ma loro sono riusciti a produrre metodi di analisi e misurazione che ci hanno fatto capire meglio i limiti della nostra conoscenza». I due studiosi, entrambi prossimi alla soglia dei settant’anni, sono più volte tornati sulle domande iniziali del loro percorso di studi, riformulando e affinandole, pur senza trovare una risposta definitiva. Perciò, «grazie a quegli strumenti la nostra ignoranza su quanto cambiano i prezzi, se cambiano i tassi, è minore di prima».

Sargent e Sims hanno posto le basi dell’analisi macroeconomica moderna e sono maturati nel clima intellettuale dell’Università del Minnesota negli anni ’70, dove il Dipartimento di economia era guidato da Leonid Hurwicz, anche lui Nobel nel 2007. E dove è passato anche, fra gli altri, un altro Nobel per l’economia, Edward C. Prescott. Il lavoro di Sargent nella modellizzazione della teoria della aspettative razionali potrebbe farlo inquadrare – «erroneamente», rimarca Boldrin – fra gli esponenti di punta della nuova macroeconomia classica, la sintesi teorica dell’economia che ha imperato negli ultimi trent’anni. «Un etichettatura erronea», rimarca Boldrin, che ricorda come nel tempo Sargent ha modificato le sue posizioni, continuando a interrogarsi. Un economista come Luigi Campiglio, professore di Economia politica alla Cattolica di Milano, pur critico verso alcuni aspetti, riconosce a Sargent e Sims «una grande libertà intellettuale e spirito pragmatico».

L’approccio di Sargent alla costruzione di modelli macroeconomici è stato il suo maggior contributo all’analisi della politica economica, usato in molti altri ambiti della ricerca economica. «Sargent è il traghettatore dall’idea che i mercati funzionano sempre e comunque all’idea che i mercati bene o male funzionano e vanno dunque trattati con cautela – spiega Campiglio – Si è posto in modo serio il problema di valutare la robustezza dei modelli economici».

Quanto a Sims, oggi professore alla Princeton University, è d’obbligo ricordare l’introduzione di un modello denominato Var, vector-autoregression model, applicato alle serie statistiche storiche, che oggi consente di stimare, in modo relativamente semplice, gli impatti delle variazioni temporanee di un parametro monetario o fiscale. Come sono, per esempio, i tassi manovrati dalle banche centrali. È grazie a lui che oggi sappiamo che un aumento del tasso dei tassi di politica monetaria ci mette due anni per far scendere l’inflazione, ma impatta subito (e gradualmente) sulla crescita economica. Il Var è uno strumento econometrico diventato moneta corrente fra gli economisti: «A volte un po’ troppo – puntualizza Campiglio – perché permette di bypassare le motivazioni degli agenti e i nessi di causalità fra fattori economici».

Una conclusione non priva di ironia: la motivazione ufficiale del premio ai due economisti è proprio la ricerca empirica sui nessi di causa ed effetto in macroeconomia.

Articolo ripreso da linkiesta.it