Da bambini tutti abbiamo letto i fumetti classici di Walt Disney, amando e odiando i buoni ed i cattivi creati dal grande disegnatore americano, chi faceva il tifo per Topolino, chi per Paperinik, chi per Pippo e chi invece desiderava che la giustizia facesse il suo corso per mano del Commissario Basettoni contro Gambadilegno, Macchianera o Rockerduck.
Proprio quest’ultimo non è un personaggio dei fumetti tanto immaginario, quanto la voluta parodia di John Davison Rockefeller, considerato dalla rivista Forbes come l’uomo più ricco in assoluto nella storia dell’umanità. Rockefeller è conosciuto per essere stato il pioniere dell’industria petrolifera statunitense oltre che il fondatore della Standard Oil Company, considerata di fatto la prima grande multinazionale nella storia del capitalismo occidentale. Partito come semplice impiegato contabile in una piccola raffineria, comprendendo le potenzialità del mercato nel futuro, costituì velocemente la sua prima società di raffinazione assieme ad altri soci, iniziando nel contempo una audace politica di espansione e potenziamento commerciale, facendo spesso ricorso a metodi poco ortodossi che gli valsero il soprannome di squalo del petrolio.
In pochi anni divenne monopolista di mercato e nel 1870 decise di riunire tutte le società petrolifere possedute ed acquisite sotto la guida di un unico veicolo societario, la Standard Oil Company, la prima multinazionale petrolifera completamente integrata nei settori della produzione, trasporto, raffinazione e commercializzazione del greggio.
La Standard Oil continuò ad operare sino al 1911 quando il Congresso degli Stati Uniti, pressato dall’opinione pubblica per il peso, la dimensione e l’ingerenza di questa società all’interno dell’economia americana, varò lo Sherman Act (di fatto la prima legge antitrust) per obbligare Rockefeller a spacchettare e smembrare la Standard Oil Company in oltre trenta società indipendenti ognuna con un proprio management distinto dalle altre. Alcune di queste società conservano ancora oggi il loro nome originario: Eastern States Standard Oil (più conosciuta per le inziali come ESSO) oppure la Continental Oil Company (conosciuta come CONOCO) o ancora la Standard Oil of California (SOCAL ribatezzata per ragioni di marketing in CHEVRON).
Quanto ha varato il Congresso statunitense nel 1911, a distanza di cento anni, dovrebbe essere preso seriamente in considerazione anche dal prossimo nuovo governo italiano con il fine di replicare tale operazione per il panorama bancario italiano. Attraverso un nuovo dispositivo di legge, il nuovo governo (quello attuale vista la composizione e la provenienza dubito che possa mai proporre una soluzione di questa portata) dovrebbe obbligare i grandi gruppi bancari a spacchettarsi e a smembrarsi in banche indipendenti dalle minori dimensioni con inferiore presenza capillare su tutto il terrirorio nazionale.
In questi ultimi tre anni abbiamo conosciuto il rischio finanziario “too big to fail” che poi ci ha portato ad accettare sia perdite di sovranità che rischi sistemici per salvare istituti di credito che sono cresciuti troppo in poco tempo, assumendo rischi di mercato ed operativi tali che nemmeno una nazione può essere in grado di coprire. Pensate a tal proposito al peso che hanno in percentuale sul PIL del paese il controvalore degli attivi di Unicredito, Intesa e Banca MPS, senza dimenticare anche altri gruppi bancari di dimensioni significative come Ubibanca o Banco Popolare.
Quando eravamo bambini e leggevamo i fumetti di Walt Disney ricordo che durante la giornata del risparmio alle scuole elementari spiegavano agli alunni che più grande era la banca più questa era sicura e quindi che era meno a rischio fallimento di altre: oggi vale forse l’esatto opposto in cui una banca di dimensioni mastodontiche non può fallire semplicemente perchè il paese in cui ha giurisdizione dovrà inventarsi l’inverosimile per non farla fallire, mettendo l’economia del paese a servizio dei bilanci delle grandi banche (quello che di fatto è successo).
Solo con banche di dimensione ragionevole con una definita e limitata presenza su un territorio determinato è possibile controllare il rischio di queste entità economiche, soprattutto vista la complessità ed osmocità degli attuali mercati finanziari, lasciando pertanto anche spazio ad eventauli interventi di salvataggio sia istituzionale che cooperativo da parte di altre banche (come tra l’altro prevede il meccanismo di intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi).
Tuttavia con banche troppo grandi non è possibile pensare di gestire l’eterno conflitto del moral hazard per cui chi le amministra sa benissimo che qualora si dovessero incontrare delle difficoltà o sostenere pesanti perdite, il governo sarebbero obbligato ad intervenire per mettere un tappo alla falla che si è aperta (il caso MPS sta facendo scuola), questo per evitare un danno ulteriore al tessuto economico produttivo del paese e di riverbero al gettito fiscale per le amministrazioni finanziarie.
Articolo ripreso dal sito di EugenioBenetazzo.com