L’autunno e’ la stagione dei matrimoni combinati tra le banche italiane

Con l’avanzare dell’autunno si intensifica la macchina organizzativa delle coppie che convolano a nozze.

Sembra che la stagione sia propizia anche per i matrimoni tra banche, che si presentano sempre più come riparatori, nel senso che pongono rimedio a situazioni pericolose e imbarazzanti di semi-dissesto finanziario per eccesso di sofferenze (non d’amore ma di credito). La prima coppia a convolare a nozze, con la benedizione della Banca d’Italia è Banco Desio che ha acquistato il diritto alla dote, si fa per dire, della commissariata Banca Popolare di Spoleto per pascolare fuori dalla Brianza, come aveva già fatto nel Lazio e nel Veneto.

L’annuncio del matrimonio non fa nemmeno troppo mistero delle motivazioni: Banco di Desio e della Brianza entra nel capitale di Banca Popolare di Spoleto attraverso un aumento riservato da quasi 140 milioni di euro cash, che garantirà all’istituto lombardo tra il 66,8% e il 72,2% del capitale della banca in amministrazione straordinaria.

L’acquisto da parte di Banco Desio mette fine a una delle più tragicomiche vicende bancarie attraversata da guerre di potere locali, di mosse e contromosse dell’ex-padre padrone di Spoleto Antonini, messo fuori gioco solo quando la Banca d’Italia ha alzato la voce e fatto alzare il velo sui crediti deteriorati. Una storia che era stata seguita passo passo da Imprese+Finanza dal 2011 e che ora, dopo ben 3 anni, ha trovato un lieto fine.

Dopo Desio-Spoleto si parla già di confetti e partecipazioni per Banca Popolare di Marostica, corteggiata dalla Popolare di Vicenza ma più propensa a scegliere un fidanzato alto-atesino per non scomparire per sempre dalla mappa del Veneto. Probabile matrimonio anche per Banca Etruria, un po’ appesantita dalle rettifiche, ma nonostante tutto ambita, si dice, da due popolari: BPER e ancora i vicentini forti della promessa di capitale fresco per 1 miliardo di euro ai prezzi di un azione stabiliti non dal mercato, ma da perizie di parte.

Ma non è finita e le comari del paese rumoreggiano di un possibile sposalizio tra BPM e il grande Banco Popolare, più rapido di altre banche a battere la strada dell’aumento di capitale e togliersi da un pericoloso ingorgo. Incerto il futuro della Veneto Banca che sembra decisa a respingere i pretendenti sotto casa ma anche insicura di potere proseguire senza un marito. Le zitelle pericolose restano alla finestra in attesa: Carige, Banca Marche, CARIFE. Nessuna banca ha bussato per ora alla porta del loro castello. Si è parlato di interesse di Bonomi su Carige, dopo essere uscito da BPM senza riuscire a cambiare ciò che aveva in mente di cambiare.

Chi mi legge conosce quanto sia scettico sull’efficacia delle fusioni bancarie. C’è chi si è molto complicato la vita, e chi come Intesa ha difeso a spada tratta un modello federale che oggi si trova a smontare per tagliare costi dove è possibile farlo, per non parlare dell’effetto di MPS su BAM, Antonveneta, Biver Banca gli esempi di fusioni molto poco efficaci sono molti.

Poiché la mia parola conta come il due di picche, leggete cosa dice sull’argomento il DG di una delle medie banche, CREDEM, che continua a fare utili (non perdite come hanno registrato le banche in questa settimana) e ha la migliore performance sui crediti deteriorati: «Il nostro modello è questo, e spero ci siano le condizioni per portarlo avanti», dice con una battuta il direttore generale del Credem, Adolfo Bizzocchi. Fuori luogo, quindi, parlare di eventuali acquisizioni. «Niente, assolutamente niente», assicura. «Il Credem ha seguito questa strada a metà anni ’90, e lì abbiamo imparato che per digerire operazioni di M&A occorrono almeno 3-4 anni. Oggi non avrebbe senso: i costi sono comunque troppo elevati rispetto agli effettivi benefici, e oggi è molto meglio disporre di una rete a maglie larghe come la nostra: abbiamo la possibilità di crescere dove vediamo più opportunità, aggredire i mercati che ci interessano di più. Come il Nord-Ovest, il Nord-Est e la dorsale adriatica» (fonte Sole24 Ore 2 aprile 2014).

Bizzocchi è persona molto esperta e ha ragione: occorrono davvero almeno 3-4 anni per digerire l’acquisizione di una banca e in questo momento non c’è questo orizzonte di tranquillità davanti.

 

Articolo di Bolognini Fabio – ripreso da Linkerblog.biz