Bitcoin moneta alternativa delocalizzata rispetto alle banche centrali

Gli appassionati di Bitcoin comunemente dicono che la valuta digitale rappresenta il “futuro dei soldi” nelle transazioni che non prevedono scambio di denaro fisico e che prima o poi saranno in grado di soppiantare il monopolio della produzione della moneta da parte delle Banche centrali e dei governi.

E’ una visione romantica, enfatizzata dai media, che attinge alla matrice anarchica e libertaria del movimento cypherpunk, nato negli anni Novanta con la diffussione del World wide web, che ha l’ambizione di spingere a un cambiamento sociale e politico globale attraverso l’uso massiccio della crittografia informatica, la trasmissione nascosta di informazioni.

In quest’ottica può sembrare inebriante raggiungere lo scopo di fornire alla moltitudine lo strumento chiave per superare, e magari sovvertire, il potere in mano alle Banche centrali a ai governi di controllare il peso del portafogli senza il consenso pubblico. Di beffare i censori e i sorveglianti di stato. E quindi di realizzare il manifesto firmato da Eric Hughes, matematico e pioniere dei cypherpunk, che è fonte d’ispirazione per gli hacker di Anonymous e Wikileaks: “Noi, i cypherpunk, siamo impegnati a costruire sistemi anonimi. Noi difendiamo la nostra privacy con la crittografia, con un sistema anonimo di email, con le firme digitali, e con il denaro elettronico”.

L’idea in sé non è estremamente innovativa. Il concetto teorico di “moneta denazionalizzata”, ovvero sottratta alla giurisdizione statale, fu introdotto dal premio Nobel Friedrich von Hayek e rappresenta un’antica sfida al potere statale costituito. Lo storico della moneta, Eric Helleiner, ha tra l’altro documentato che nel XIII secolo i mercanti inglesi già battevano piccole monete in rame e che nei quattrocento anni successivi altre corporazioni producevano gettoni “non autorizzati” dalla Corona britannica. Alla vigilia della guerra civile americana, poi, circolavano almeno 10 mila differenti tipi di banconote a complemento delle monete coniate dalla zecca di stato.

Per ora le monete elettroniche, che non portano la firma di nessun banchiere centrale ma sono emesse da un sistema crittografico intelligente, sono agli albori e sono ancora molto lontane dal competere con il dollaro o con l’euro. Gli esperti non escludono in futuro un successo notevole in paesi dove la fiducia nella moneta è in discussione, vuoi per l’iperinflazione in Sudamerica, Argentina e Venezuela, oppure per il rischio di uscita dal blocco valutario europeo, nel caso della Grecia. Tra le valute virtuali disponibili (Litecoin, Peercoin, Namecoin) i Bitcoin i più rodati e popolari, rappresentano l’80 per cento della capitalizzazione di mercato, ovvero 7,7 miliardi di dollari in circolazione, ma sono usati solo per 69.000 transazioni nel mondo ogni giorno, contro un totale di 274 milioni nella sola Unione europea. Tuttavia la tecnologia ha potenzialità significative soprattutto per la concorrenza ai sistemi di pagamento online e, in ultima istanza, perché potrà cambiare il modo di fare business con e su internet.

Sull’onda della pubblica gogna e dell’oggettivo discredito verso banche e intermediari finanziari ufficiali provocato dal collasso di Lehman Brothers nel 2008, un programmatore misterioso noto come Satoshi Nakamoto – un nome che si presume essere uno pseudonimo di un soggetto o di un collettivo – ha descritto in un paper accademico, scritto in inglese perfetto, l’architettura del sistema Bitcoin, un protocollo informatico che in molti paragonano al proctocollo che sta alla base di internet (Tcp/Ip), quello che determina il modo specifico nel quale un dato è confezionato e indirizzato all’interno di una rete di computer, ovvero il binario sul quale corrono le email. Successivamente Nakamoto ha rilasciato un software opensource, disponibile a tutti, che può essere usato per scambiare bitcoin secondo quello schema. Nakamoto si è poi eclissato.

A gestire l’operatività del network  c’è Gavin Andresen, 48 anni, il volto più esposto, nonché colui che ha concepito la Bitcoin Foundation, ente no profit che può considerarsi la cosa più prossima a un’autorità centrale nel mondo bitcoin. Lo scopo di Bitcoin è concedere all’umanità la possibilità di potere scambiare denaro elettronico in maniera sicura, anonima e trasparente, senza il bisogno della mediazione di parti terze, ovvero completamente “decentralizzata”. E’ decentralizzata in primo luogo alla fonte perché non c’è un’autorità centrale unica coinvolta nella produzione: i bitcoin sono “estratti” dagli utenti – detti “miner”, “minatori” – che possiedono calcolatori sempre più potenti, esistono file di centinaia di server custoditi in grandi magazzini, con una capacità di calcolo in grado di risolvere puzzle algoritmici complessi per chiudere ogni transazione proposta in rete – in media una ogni 10 minuti – e ricevendo come ricompensa una certa quantità di bitcoin nuovi di “zecca”. Il processo di “estrazione” è congegnato per remunerare sempre meno i minatori nel corso del tempo, fino al limite di 21 milioni di bitcoin esistenti che verrà raggiunto nel 2031. I bitcoin sono quindi un bene scarso, finito, paragonabile all’oro.

Più una “commodity” che una moneta, dunque. Il processo è decentralizzato, inoltre, perché salta totalmente il mediatore della transazione che avviene in accordo tra un utente e un altro in modo gratuito. Vengono bypassati i fornitori dei servizi di pagamento certificati come Paypal, Western Union, MoneyGram, che invece applicano tariffe per i servizi di garanzia e sicurezza offerti. Le tecniche crittografiche su cui si basa Bitcoin permettono di essere certi che la transazione sia verificata, anche se non si conosce l’identità della controparte, perché deve essere approvata da tutti i “nodi” della rete, da tutti gli utenti, in quanto viene registrata sul blockchain, un libro mastro condiviso sul quale vengono tracciate e registrate tutte le operazioni effettuate in un dato istante; il blockchain è uno strumento rivoluzionario sul quale torneremo.

Gli usi sono molteplici: comprare una pizza, farsi pagare una prestazione, garantire libertà di espressione – quando furono banditi i pagamenti bancari a favore di Wikileaks, i bitcoin li sostituirono – fare una donazione. Si può immaginare perfino di superare la mediazione delle compagnie telefoniche che forniscono servizi internet per gli smathpone nel momento in cui un singolo apparecchio può connettersi per pochi istanti ma in continuità alle reti wireless di privati cittadini remunerandoli immediatamente in frazioni di bitcoin per ogni frazione di secondo di accesso. Certo, si possono comprare droghe su siti commerciali protetti dall’anonimato, come il bistrattato sito Silk Road, uno dei tanti – che comunque dà un rating all’affidabilità degli spacciatori, e a suo modo riduce il rischio di procurarsi per strada sostanze di dubbia qualità – il suo fondatore, Ross Ulbricht, è stato condannato all’ergastolo. Ma l’accusa di “riciclaggio” lanciata da alcune autorità bancarie pare fuori scala. Spostare grandi cifre è infatti improbabile allo stato del sistema Bitcoin: è tuttora più facile farlo con banche o intermediari ufficiali compiacenti.

Fondi di investimento e agenzie di servizi vedono infatti nella relativamente bassa mole di flussi di valore una costrizione alla potenzialità di creare un mercato finanziario online basato sul bitcoin. Invocano quindi a gran voce la necessità di costruire un’infrastruttura solida, composta da gestori di portafogli virtuali e Borse virtuali affidabili  – il più usato, Mt. Gox, è finito in disgrazia dopo un tracollo epocale – per varie ragioni: per rendere facilmente accessibile una tecnologia ancora arcana per molte persone, per transare cifre consistenti, per ridurre la grande volatilità dei bicoin rispetto alle altre valute, per coinvolgere gli esercizi commerciali. Probabilmente a farne le spese sarà l’assoluto anonimato degli utenti, caratteristica che ha allarmato da subito i regolatori ovunque. Per questo motivo un compromesso tra i “normalizzatori” e i “puristi”, affezionati alle radici cypherpunk, sarà irrinunciabile.

Grandi investitori e imprenditori credono comunque che la vera promessa di Bitcoin non sia la moneta, che è soltanto uno degli sviluppi possibili, ma l’idea di potere rivoluzionare intere industrie che s’affidano a un registro digitale (o cartaceo). Il concetto è che se si può fare a meno dell’autorità monetaria allora si può anche fare a meno di qualsiasi altra autorità centrale. Gli effetti sono dirompenti. Se infatti migliaia di computer usano la crittografia per registrare costantemente ogni singola transazione avvenuta su un libro mastro condiviso, il blockchain suddetto, si può andare ben oltre la semplice tracciabilità dei pagamenti. Il libro mastro potrebbe rimpiazzare i metodi convenzionali di registrare informazioni importanti come la stipula dei contratti, dei diritti di proprietà, certificare i passaggi di proprietà di un bene.

Questo perché un accordo spontaneo tra due soggetti è posto a verifica poliarchica, cioè di una pluralità di attori, ed è pubblico. Un operatore in fase embrionale è Factom che vorrebbe abbracciare diversi business. Factom intende archiviare una serie di dati delle compagnie iscritte in modo permanente per ridurre i costi e la complessità di tenere contabilità delle operazioni finanziarie, dei risultati del gruppo, dei provvedimenti legali significativi. Per testare il concetto, fa notare un approfondimento del Mit Technology review, Fatcom ha collaborato con una società medica per costruire uno strumento che gli operatori sanitari possono usare per memorizzare i dati che potrebbero essere utili durante le controversie legali per fatturazione o verifiche. Facendo correre la fantasia, ma nemmeno troppo, come ha fatto Ferdinando M. Ametrano (Banca Imi, Università Bicocca) in un’audizione alla Camera, il protocollo alla base del libro mastro potrebbe sostuire senza troppo sforzo il registro automobilistico: invece che pagare 500 euro circa per farsi certificare l’avvenuto passaggio di proprietà da un addetto della motorizzazione – che fondamentalmente cambia il nome in una cella di un foglio excel – la certificazione può avvenire in maniera totalmente gratuita e decentralizzata, mediante tecnologia blockchain, firmando una transazione in cui uno intesta la macchina all’altro che verrà poi resa pubblica sul libro mastro.

Il brodo di coltura libertario e l’interoperatività degli standard tencologici hanno prodotto questo assalto ai due fondamenti del potere centrale degli stati, quello della certificazione, legale, e quello della forza, sanzionatorio, in quanto il sistema si autoregolamenta senza comminare pene corporee o pecuniarie di sorta. Ma non c’è bisogno di essere libertari, cypherpunk o anarchici per capire che il sistema introdotto con la tecnologia Bitcoin è più conveniente e quindi più efficiente del modello burocratico tradizionale. Ormai il genio è uscito dalla bottiglia e non rientrerà. Il moloch dai piedi d’argilla ha gli anni contati.

 

Articolo di Alberto Brambilla, ripreso da ilfoglio.it