I Bitcoin sono il nuovo paradiso fiscale a livello mondiale?

Omri Marian docente di diritto presso la University of Florida Levin College of Law, ha recentemente evidenziato alcuni  punti di criticità fiscale, derivanti dall’ impiego delle cosiddette Criptocurrecies come Bitcoin, Litecoin, Perfect Money, vale a dire monete che non sono emesse né sostenute da alcuna Banca Centrale.

Una di esse, la Liberty Reserve, è stata ultimamente oggetto di indagine da parte delle autorità di 17 Paesi tra i quali gli USA, per una serie di reati: creata da Arthur Budovsky e collocata in Costa Rica, ha visto interdirsi la propria operatività dai procuratori Federali Statunitensi, secondo i quali,  il sistema di supporto alla moneta digitale sarebbe stato il crocevia di una serie di attività illecite che vanno dal riciclaggio di denaro, al traffico di carte clonate, alle truffe di vario genere, all’ attività di hacking per interessi riferibili  alla malavita organizzata, al gambling non autorizzato, alla compravendita di stupefacenti sul noto sito (al centro di recenti disavventure giudiziarie) Silk Road, all’intermediazione finanziaria non autorizzata, al commercio di materiale pedopornografico.

Insomma, una vera e propria banca del mercato nero, volta a favorire numerose attività criminali: secondo il Procuratore Statunitense Bharara, Liberty Reserve avrebbe processato 55 milioni di transazioni anonime (per aprire un conto digitale era sufficiente il solo indirizzo mail), tramite le quali sarebbe stato realizzato il riciclaggio di circa 6 miliardi di dollari. Addirittura, un’accusa circostanziata riguarderebbe il riciclaggio di 45 milioni di dollari rubati dai conti di BankMuscat (la più importante del sultanato dell’Oman) e Rakbank con sede nell’emirato di Ras Al-Khaimah.

L’avventura di Budovsky è terminata in Spagna, dov’è stato tratto in arresto presso l’aeroporto di Madrid nel Maggio 2013 ed il sito sottoposto a sequestro dal Global Illicit Financial Team Statunitense, unitamente a 45 conti correnti bancari usati dal servizio e ad altri 35 siti che alimentavano Liberty tramite il trasferimento di fondi da riciclare. Quasi contemporaneamente, le autorità Costaricane provvedevano a recuperare  diverse  auto, conti correnti e beni di lusso riconducili all’ideatore di Liberty ed ai suoi sodali, il tutto in un contesto caratterizzato dall ’impossibilità -per molti utenti- di poter accedere ai propri risparmi (provenienti da fonti legali) convertiti in  moneta digitale.

Le cripto monete giocherebbero un ruolo interessante anche nel favorire la consumazione di illeciti aventi natura fiscale a causa della convergenza  tra due fenomeni non correlati direttamente:

  •   l’aumento delle transazioni –quindi dei pagamenti- eseguite in cripto valuta, al punto tale  che la Germania ha riconosciuto BitCoin come tipo di moneta legale;
  • l’estrema difficoltà delle autorità statali di sfruttare nell’ ambito delle cripto monete ed a differenza di quanto accade con le transazioni in valuta legale,  gli intermediari finanziari (come ad esempio le banche) quali veri e propri agenti del fisco, non solo svolgenti attività di esazione, ma anche quali grandi contenitori di informazioni finanziarie e personali, rispetto alle quali sussiste l’obbligo (graduato in maniera differente a seconda della giurisdizione considerata) di trasmissione al Fisco.

I mezzi di pagamento in esame, presentano infatti almeno due delle caratteristiche tipiche dei contemporanei tax havens:

  • garanzia di non tassabilità dei guadagni;
  • garanzia dell’anonimato.

Nel contesto globale attuale, caratterizzato dal tentativo particolarmente forte di contrastare a -livello internazionale e cooperativo- l’evasione fiscale realizzata tramite le strutture giuridiche dei paradisi fiscali, può ritenersi ragionevole supporre che gli evasori abitualmente operativi tramite shell companies e conti bancari offshore, optino per le cripto valute. Queste infatti sono web-based, strutturate su reti P2P crittografate, rappresentano unità digitali che garantiscono l’acquisto di beni e di servizi reali; sono meri files.

Ma c’è un problema ulteriore che si pone: nel caso in cui queste monete venissero usate (come già successo) per eseguire transazioni illegali (ad esempio acquisto di armi e droga) quale giurisdizione sarebbe legittimata ad intervenire? O meglio, in quale giurisdizione si possa ritenere operi lo user ? I BitCoins  (ed affini) sono un insieme di bit e di bytes contenuti nei cyber – accounts noti col nome di wallets e non sono –ovviamente- sottoponibili ad alcuna tassazione alla fonte, anche perché i possessori di questi, rimangono pressoché anonimi.

Proviamo a fare qualche esempio. Immaginiamo che un BitCoin’s user paghi il fornitore di un servizio con la cryptovaluta in esame: alla società fornitrice della prestazione non è fatto obbligo di identificarsi all’ atto della creazione del proprio wallet on line; risulterà quindi particolarmente difficile per l’Amministrazione finanziaria di un qualsiasi stato, provare in maniera giuridicamente accettabile quali e quanti siano i profitti realizzati prestando servizi in cambio di cripto valute.

Un’ operazione un po’ più complessa, potrebbe configurarsi come la seguente:

  • Ipotizziamo che ci sia una persona fisica che voglia investire una somma nelle azioni della società X; che lo voglia fare tramite un broker e che non voglia trasferirgli dei soldi in Euro tramite bonifico o carta di credito, ma soltanto la somma equivalente in BitCoin a fronte della quale stipuli col broker un equity swap contract denominato nella stessa valuta digitale.
  • A questo punto, il broker potrebbe garantire l’esecuzione dell’ordine usando i propri soldi aventi corso legale (ad esempio Euro) per un importo corrispondente a quello accreditatogli in BitCoin.
  • Qualora si realizzasse una plusvalenza, chiudendo la posizione, il Broker corrisponderà il valore totale delle azioni, accreditando la somma in BitCoin nel wallet del cliente; viceversa in caso di deprezzamento (da verificare come l’ eventuale  plusvalenza alla data di scadenza del derivato) sarà il cliente a corrispondere al differenza, inviando la somma in BitCoin sul wallet del broker. Aprendo un account in un qualsiasi sito di brokeraggio accentante BitCoin, tutte queste operazioni avverranno in automatico. In ogni caso il broker non ha obblighi di natura fiscale non essendo un sostituto d’imposta.
  • In questo insieme di flussi, le Autorità fiscali come possono accertare con giuridica certezza, che quel determinato ammontare di BitCoin sia il frutto di una plusvalenza e dunque che la persona fisica sia tenuta al pagamento di imposte sul reddito di natura finanziaria? Semplicemente non possono.

Tralasciando l’analisi della dimensione dell’evasione attuata tramite cripto valute, il cui valore assoluto prevedibilmente tenderà ad aumentare con l’aumento della loro diffusione, alcuni studi dimostrano come molti wallets siano usati solo per accumulare BitCoin e non per inviarli. In altri termini, i guadagni realizzati in nero, vengono fatti sparire convertendoli in cripto moneta depositata in wallets “di scopo” che fungeranno da cassaforte. Inoltre, è stato dimostrato come grossi volumi di BitCoin siano distribuiti in piccoli lotti, depositati in vari wallets appartenenti allo stesso proprietario, nel tentativo di nascondere tanto l’origine quanto la destinazione finale degli stessi.

In questa realtà, c’è però un grosso vuoto normativo a livello nazionale ed internazionale: nel primo caso le criptocurrecies sono spesso ignorate tout court dal legislatore mancando di conseguenza  il supporto normativo in grado di garantire il recupero delle eventuali somme evase; a livello internazionale tanto i FACTA quanto i TIEA sarebbero privi di utilità, perché le  transazioni in cripto valute non necessitano di una giurisdizione nazionale per poter essere eseguite  e dunque non ci sarebbero giurisdizioni con le quali scambiare le informazioni.

Le soluzioni –ad oggi- proposte, sono:

  • l’imposizione di obblighi di identificazione della clientela, nei confronti dei siti web che facilitano il trading e lo scambio di BitCoin in valuta avente corso legale. Tuttavia, le difficoltà non sono poche poiché non si tratta di veri e propri intermediari finanziari (come banche o Sim ecc) e pur ammettendo che si possano regolamentare negli stessi termini previsti questi ultimi, il meccanismo normativo funzionerebbe solo nel momento della conversione, ma sarebbe totalmente inutile per tutte le transazioni eseguite e mantenute in BitCoin. Quindi se ipotizzassimo una diffusione mondiale di questa valuta, tramite la quale fosse possibile comprare qualsiasi bene o servizio, gli utili prodotti ed espressi in BitCoin rimarrebbero sostanzialmente sconosciuti al fisco.
  • L’obbligo di considerare fiscalmente i BitCoin al pari delle azioni, dei bond, dell’oro, quindi come un assets, sul modello tedesco. Ma anche tale schema operativo, sarebbe utile solo all’atto di conversione,  laddove l’utente decida di rivelare al fisco la vera natura dei propri profitti.

 

 

Articolo di Francesco Pellegrini ripreso dal sito: traglisqualidiwallstreet.blogspot.it