La politica economica adottata dal governo cinese rischia di provocare una vera e propria fuga dai colossi bancari di proprietà statale. Almeno stando a quanto riporta il China Securities Journal, che cita fonti anonime.
Il volume dei depositi di Industrial & Commercial Bank of China, China Construction Bank, Bank of China e Agricultural Bank of China (vale a dire delle quattro maggiori banche cinesi) è calato di 420 miliardi di yuan (pari a 65,7 miliardi di dollari) nei primi quindici giorni di settembre. E, in presenza di un minor capitale garantito dai depositi, scende anche l’ammontare di denaro che le banche sono disposte a concedere in prestito: il che mette in difficoltà le piccole e medie imprese.
La causa principale di questa situazione è la politica economica adottata dall’esecutivo di Pechino, che da mesi è impegnato nello sforzo di evitare un surriscaldamento dell’economia. I tassi di crescita del gigante asiatico, infatti, sono vertiginosi. Ma sono molteplici anche le minacce alla solidità del sistema finanziario: dalla bolla speculativa immobiliare, ai prestiti ad alto rischio concessi agli enti locali, all’inflazione galoppante.
E il governo, nel tentativo di porre un freno al surriscaldamento dell’economia, ha tentato la via delle misure amministrative (finora poco efficaci) ma soprattutto ha innalzato a più riprese i requisiti di capitalizzazione e i tassi d’interesse per le banche. Ma ciò significa, d’altra parte, che – in presenza di un’inflazione al 6% e di tassi d’interesse fissati al 3,5% – i risparmiatori, nello scegliere le banche statali, di fatto risultano in perdita. E inevitabilmente si rivolgono alle banche private, che offrono condizioni molto più vantaggiose.
Articolo ripreso da valori.it