Cogeme muore una bella azienda italiana

L’assemblea straordinaria riunitasi venerdì scorso a Milano ha di fatto sancito il fallimento di Cogeme S&T, fiore all’occhiello della meccanica di precisione italiana.

Una società in salute rovinata da una gestione approssimativa e da una Consob “assente”. Ora l’unica speranza dei piccoli azionisti, per recuperare i loro risparmi, è che il Tribunale di Milano riconosca un’eventuale condotta fraudolenta degli ex vertici.

Un vero peccato. Venerdì scorso è stata di fatto messa un’ipoteca al fallimento della Cogeme S&T, società con sede a Frosinone attiva nella componentistica di alta precisione per l’automotive. Un gioiellino con impianti in tutto il mondo, dal Brasile all’India, circa 600 dipendenti e un portafoglio clienti ad altissima marginalità, da Bosch a Honeywell, da Magneti Marelli a Continental, che probabilmente sarà smembrato e messo sul mercato per due lire.

Quella di Cogeme S&T è una storia di malversazioni, errori prospettici del management e di una Consob distratta, fattori che hanno portato alla distruzione dei risparmi di centinaia di piccoli azionisti, tra i quali molti giovani lavoratori e pensionati, che non avevano certo investito fantastiliardi, ma piccoli tagli da 10-15mila euro. Linkiesta aveva raccontato la vicenda lo scorso gennaio, e venerdì ha assistito all’assemblea straordinaria che avrebbe dovuto sancire un accordo tra il collegio dei liquidatori e i piccoli azionisti per evitare il fallimento della società, ma le cose non sono andate previsto e ora l’unica speranza è che il Tribunale di Milano nomini un commissario extragiudiziale. Un’ipotesi subordinata al ritrovamento della classica “pistola fumante”, cioè testimoni in grado di ricostruire l’eventuale condotta fraudolenta degli ex vertici.

Il collegio dei liquidatori, nominato lo scorso 12 gennaio e presieduto da Gino Berti – numero uno della Dynamic Technologies, entrata rilevando un anno fa l’1,9% del capitale di Cogeme e partecipata dall’ex presidente Maurizio Testa attraverso la Tms Ekab, che a sua volta detiene il 16,6% del capitale (al 4,2% c’è Centrobanca) dell’impresa frusinate – decide di depositare presso il Tribunale di Frosinone, il 31 marzo scorso, un ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo in continuità.

Contestualmente, propone all’assemblea un aumento di capitale da 40 milioni di euro mediante l’emissione di 61,7 milioni di azioni ordinarie dal valore di 65 centesimi «da offrirsi in opzione agli attuali azionisti nel rapporto di una nuova azione ogni azione posseduta antecedentemente all’azzeramento del capitale sociale», con l’eventuale inoptato da destinare ai creditori chirografari ammessi al concordato preventivo.

Il tutto da realizzarsi dopo il deposito del decreto di omologazione al concordato preventivo, cioè del via libera alla procedura concorsuale, previsto entro il 30 aprile 2013. Berti e i suoi predispongono inoltre un piano industriale 2012-2016 che prevede una serie di dismissioni, tra cui lo stabilimento di Patrica (FR), e su richiesta Consob pubblicano i conti al 29 febbraio, che evidenziano un indebitamento di quasi 100 milioni di euro.

Un modus operandi che non ha convinto i piccoli azionisti (circa l’11,8% del capitale) riuniti nell’associazione presieduta dal combattivo Roberto Alessi, trentenne come il loro legale rappresentante, l’avvocato Favretto dello studio Calvetti & Partners. I quali, lo scorso 2 maggio, hanno deciso di impugnare con un atto di citazione le due delibere approvate lo scorso 12 gennaio, cioè l’azzeramento del capitale sociale e la rinuncia alle azioni di responsabilità nei confronti dell’ex top management. Mossa che ha alzato i toni dello scontro.

Nel corso dell’assemblea i piccoli hanno chiesto, senza successo, il rinvio della stessa per avere più tempo per valutare le carte, soprattutto il bilancio 2011 non ancora presentato in quanto, come si legge nella nota diramata il 28 marzo, «la Società e le sue strutture interne sono attualmente impegnate nelle attività finalizzate alla presentazione di un ricorso per l’ammissione di Cogeme ad un concordato preventivo in continuità». Non solo: i legali dei piccoli azionisti lamentano che la società non abbia concesso nemmeno la possibilità di vedere la due diligence predisposta dalla società di revisione Deloitte e dallo studio legale Simmons & Simmons.

Commentando la bocciatura dell’aumento di capitale – anche l’altro punto all’ordine del giorno, cioè l’ammissione dei sottoscrittori del bond convertibile 2009-2014 al diritto d’opzione nell’aumento di capitale, non è passato – Favretto dice a Linkiesta: «La società non ha recepito l’apertura al dialogo dei piccoli azionisti, ribadendo l’intenzione di continuare l’iter in corso, che determinerà inevitabilmente l’esclusione dalla compagine sociale di coloro che, in questo periodo di crisi, non possono permettersi economicamente di sborsare altri denari dopo aver perso integralmente, senza alcuna colpa, l’investimento iniziale». Il modello a cui volevano ispirarsi i “piccoli” è quello della Juventus: sì all’aumento di capitale ma senza azzeramento del capitale sociale.

«Abbiamo fatto tutto quello che potevamo con il massimo impegno, non resta altro che prendere atto della volontà dell’assemblea» spiega Gino Berti, che dichiara a Linkiesta di non avere alcun interesse, in qualità di presidente di Dynamic Technologies, nell’acquisto di asset della Cogeme, smentendo le voci di corridoio che sono circolate con insistenza nei mesi scorsi. Un punto ribadito anche nel corso dell’assemblea: «Eventuali dismissioni dei soli assets non strategici», ha detto Berti, «avverranno esclusivamente in esecuzione del piano di concordato e sotto la supervisione ed il controllo del giudice delegato».

«Purtroppo da oggi decade anche il contratto triennale da 150 milioni di euro che avevamo firmato con Honeywell, società che rappresenta l’80% del fatturato di Cogeme», conclude il presidente dei liquidatori, che rivendica con orgoglio un risultato raggiunto nel pieno della tempesta. Tempesta che, purtroppo, non è ancora finita: ora toccherà ai magistrati accertare le responsabilità del disastro e trovare il modo di ripagare i creditori. Rimane l’amaro in bocca per un’altra eccellenza buttata alle ortiche da un management senza una visione strategica e, come ha dichiarato lo stesso Berti nel corso dell’assemblea, da una Consob «assente dal 2009», seppure – ha ricordato Berti in assemblea – dal luglio dell’anno scorso i contatti con l’authority e i liquidatori siano stati costanti.

 

Articolo ripreso dal sito linkiesta.it