Due sono le domande su cui pongo l’attenzione oggi con riferimento al credito e alla liquidità alle imprese e provando a rispondere: quali imprese, progetti e investimenti oggi preferiscono finanziare le banche?
Perché le imprese hanno un potenziale di credito non sfruttato interamente nel loro portafoglio crediti?
Attivo fisso o attivo circolante?
Le più recenti dichiarazioni dai vertici delle banche si sono uniformate all’idea di riservare i nuovi finanziamenti che saranno erogati (anche con i fondi a tasso quasi zero concessi dalla BCE con il primo TLTRO) alle imprese che hanno progetti d’investimento e li presentano in modo trasparente.
L’interpretazione più ovvia di questa affermazione è che ci sarà attenzione e disponibilità maggiore verso investimenti fissi, tipicamente industriali, tipicamente in macchinari e/o nuovi insediamenti produttivi. A cui si accoppierà un certo rimpianto dei Mediocrediti che avevano all’interno le competenze per valutare progetti industriali e finanziarli.
Se così fosse la scelta lascerebbe spazio a diverse critiche. L’investimento in attività circolanti (capitale circolante) ha in questo momento storico pari dignità dell’investimento fisso in impianti e macchinari e sotto molti aspetti è meno rischioso e più flessibile per imprese e banche. Alcune osservazioni:
1) oltre il 60% delle imprese italiane sono nel settore servizi e commercio, senza contare le imprese che distribuiscono attrezzature comprate da altri produttori. In quali impianti e attrezzature potrebbero o dovrebbero mai investire queste imprese? E se non investono in attività fisse saranno discriminate nel ‘nuovo’ credito?
2) il vero investimento produttivo delle imprese è nei processi innovativi: certo, a volte si tratta di una nuova macchina (che fa risparmiare magari due operai…), tuttavia la maggior parte delle volte invece l’investimento è ‘soft’: idee, ricerca e brevetti, cervelli e competenze, strumenti di marketing e web marketing. Quale banca è pronta a valutare anche queste spese come validi investimenti e finanziarle? Oppure si continuerà a dedurre dal Patrimonio Netto le attività immateriali perché sono di dubbio valore rispetto al valore certo dei mattoni (che così certo non si è poi rivelato in questi anni).
Qualche volta l’investimento va in un programma di facilitazione commerciale ai clienti, ad esempio offrendo 30 giorni di pagamento in più per acquisire un nuovo cliente, ma probabilmente non viene considerato dalle banche come investimento, anzi è visto come un peggioramento del bilancio.
3) le imprese italiane dopo 5-6 anni di crisi hanno in larga misura capacità produttiva in eccesso. Quante intendono aumentarla ora con nuovi investimenti? Al momento i dati statistici sono piuttosto negativi su aspettative e investimenti. La lezione della crisi non è forse stata quella di vedere imprese che hanno realizzato progetti d’investimento nel 2007-2008 che sono poi precipitate in crisi finanziaria quando i fatturati dal 2009 sono scesi del 20-30%?
I crediti sono il vero oro nero da cui estrarre energia
Secondo i dati della rilevazione più recente di Banca d’Italia nelle banche ci sono circa 120 miliardi utilizzati per anticipare crediti verso clienti (anticipi e sconto salvo buon fine di ricevute bancarie), le società di factoring ne hanno altri 36 miliardi. Immaginiamo che abbiano una vita media lunga, di 120 giorni per tenere conto di qualche decina di miliardi di crediti della PA o di imprese a partecipazione statale che sono pagati anche a 300 giorni.
Significa un giro annuo di crediti usati per avere liquidità di quasi 500 miliardi.
Impossibile calcolare quanti altri crediti siano oggi nei cassetti delle imprese perché i fidi o i castelletti sono saturi, impossibile calcolare i crediti che il factoring non può acquistare perché i grandi clienti vietano la cessione (consentita per legge). Questo è un giacimento di petrolio vastissimo per le imprese, le quali devono imparare a sfruttare il tesoro e renderlo liquido alla pompa di benzina.
Come? In 3 modi possibili:
1) trattando con i clienti, se necessario, offrendo sconti in cambio di pagamenti anticipati. Senza timore di perdere il cliente grande, confessando serenamente il bisogno di liquidità. Perché le grandi imprese selezionano i fornitori con dure prove e criteri, non amano perderli, non amano cambiarli. Molte grandi imprese sono entrate in una dimensione nuova che implica sostenere i fornitori importanti. Quelle che non lo fanno potrebbero avere problemi in futuro. Molte grandi imprese sono liquide, non hanno problemi di capitale e di Basilea come le banche, hanno un rapporto storico con i loro piccoli fornitori. Non sempre, ma spesso. Se possono dare liquidità anticipando i pagamenti per una buona ragione lo fanno.
2) sfruttando proprio la forza e la qualità del credito verso i clienti, basata su due elementi: una fornitura eseguita correttamente e un debitore di elevata qualità e standing finanziario, un tasso d’insolvenza sui crediti commerciali mediamente più basso di altri tipi di debito, una qualità che piace al sistema del factoring e che può essere utilizzata di più;
3) preparandosi all’utilizzo di piattaforme di invoice-financing, nelle quali quegli stessi crediti e le fatture sono comprati da investitori istituzionali con tecnologia web, con rapidità e tanta semplicità, lontana in modo imbarazzante dai mesi che occorrono per avere un aumento di fido o un nuovo fido. Questi canali di finanza alternativa esistono da anni in USA e girano miliardi di dollari, in UK e girano oggi centinaia di milioni sterline, ma anche in Germania, Francia Svezia, Danimarca e pure in Spagna. Canali che rendono liquidi crediti per centinaia di milioni di euro alle piccole imprese con grandi clienti. Ora arrivano anche in Italia, paese interessante per la vastità dei giacimenti di crediti-petrolio, con i costi di estrazione piuttosto elevati (pagati dalle imprese) e con difficoltà di accesso al credito per molte piccole imprese.
Tutto questo può avvenire più facilmente con il permesso delle società che ancora vietano la cessione del credito spesso senza capire quale danno il divieto procura ai fornitori in situazione di liquidità scarsa. Oppure con la collaborazione più attenta delle società che non hanno ancora aderito al codice italiano di pagamenti responsabili promosso da Assolombarda e che dopo la scadenza della fattura si prendono sistematicamente altri 30 o 60 giorni prima di regolare i propri debiti commerciali.
Articolo di F. Bolognini – ripreso da Linkerblog.biz