Il legislatore ha predisposto una disciplina di particolare favore per le start up innovative accordando ampie deroghe al diritto commerciale comune e una specifica disciplina per le situazioni di crisi.
L’art. 31 del Decreto Sviluppo bis (D.L. 179/2012 convertito con modifiche dalla L. 221/2012) ha infatti stabilito al primo comma che le start up innovative non sono soggette alla generalità delle procedure concorsuali di cui al R.D. n. 267 del 16 marzo 1942.
La crisi di queste società si dovrebbe risolvere pertanto solo con l’accordo di composizione della crisi e di liquidazione del patrimonio, come definite dalla l. n. 3 del 27 gennaio 2012.
Le ragioni di una simile deroga sono esplicitate nella Relazione illustrativa del Decreto Sviluppo che motiva la scelta sulla base “dell’elevato rischio economico assunto da chi decide di fare impresa investendo in attività ad alto livello di innovazione. Si vuole indurre l’imprenditore a prendere atto il prima possibile del fallimento del programma posto alla base dell’iniziativa, posto l’elevato tasso di mortalità fisiologica delle start up”.
L’altro obiettivo del legislatore a fondamento di una simile scelta è “quello di contrarre i tempi della liquidazione giudiziale delle start up in crisi, approntando un procedimento semplificato rispetto a quelli previsti dalla legge fallimentare e così facilitare la ripartenza dello startupper su nuove iniziative imprenditoriali.”
L’esenzione dalle procedure concorsuali è stata precisata e ribadita anche dall’A.B.I. nella circolare serie Legale n. 3 del 25 gennaio 2013 illustrante la disciplina relativa ai procedimenti di composizione delle crisi da sovraindebitamento e di liquidazione del patrimonio.
Gli obiettivi del legislatore determinano tuttavia difficoltà di coordinamento di non scarso rilievo che il presente lavoro intende analizzare.
Nel presente lavoro mi propongo di analizzare per sommi capi gli aspetti più derogativi del diritto comune previsti per le sole start up innovative per poi domandarmi quali istituti previsti dalla legge sul sovraindebitamento siano applicabili in astratto e come detti istituti possano essere oggetto di interferenza con la legge fallimentare, per trarre infine qualche spunto di riflessione finale.
CONDIZIONI PER L’ISCRIZIONE DELLE LE START UP INNOVATIVE NE REGISTRO DELLE IMPRESE
Il c.d. decreto sviluppo bis ha introdotto le “start up innovative”, imprese ad elevato contenuto tecnologico astrattamente capaci di attrarre capitali, di creare prodotto interno lordo e di generare occupazione in un contesto di generale depressione economica. L’art. 25, comma 2, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 245 del 19 ottobre, individua i requisiti delle start up innovative, in grado di fruire del regime fiscale e civilistico di favore delineato nella sezione IX della normativa.
Il sintagma “start up innovativa” e lo status giuridico ad esse riconducibile non era riservato alle sole società neocostituite: potevano accedere al regime previsto dal Decreto Crescita 2.0 non solo le Newco, ma anche società già operative, se costituite da non più di 48 mesi dall’entrata in vigore della legge. In tal caso, le stesse potevano depositare presso l’ufficio del Registro delle imprese una dichiarazione, sottoscritta dal rappresentante legale, attestante il possesso dei requisiti richiesti, nel termine di 60 giorni dalla data di conversione in legge del Decreto.
Le start up non possono derivare da operazioni di fusione, scissione o a seguito di cessione di azienda o ramo di azienda; esse possono rivestire solo le forme previste per le società di capitali non quotate, di diritto italiano con sede nel territorio nazionale nella accezione prevista all’art. 73 terzo comma TUIR; infine, la compagine sociale deve essere formata a maggioranza da persone fisiche e non giuridiche.
L’oggetto sociale deve essere lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico. Inoltre, le start up non possono distribuire utili in futuro (né li deve avere distribuiti in passato, ove sia già costituita all’atto del riconoscimento dello status con la pubblicazione nel registro imprese).
Dal secondo anno di attività, il totale del valore della produzione per ogni esercizio, come risultante dall’ultimo bilancio approvato, non deve essere superiore ad euro 5.000.000.
Inoltre, la start up innovativa deve mantenere almeno uno dei seguenti requisiti, in modo da attestare la propria vocazione all’innovazione:
1. le spese in ricerca e sviluppo, come risultanti dall’ultimo bilancio approvato e descritte in nota integrativa, devono essere almeno uguali al 30% del maggior valore tra costi e valore totale della produzione di cui alle lettere A) e B) dello schema di conto economico. È escluso dal computo delle spese l’eventuale acquisto di beni immobili. In caso di primo esercizio di attività, la sussistenza del requisito viene accertata tramite dichiarazione del legale rappresentante;
2. almeno 1/3 del totale della forza lavorativa complessiva deve essere rappresentato da personale in possesso di un dottorato di ricerca o che svolgeva il dottorato presso università sia italiane che straniere o comunque in possesso di una laurea e che abbia svolto, da almeno un triennio, attività di ricerca certificata presso istituti pubblici o privati, in Italia o all’estero;
3. la società deve essere titolare o licenziataria di almeno un diritto di privativa relativa a un’invenzione industriale o bioteconologica, di una topografia di prodotto a semiconduttori o di una nuova varietà vegetale direttamente afferenti all’oggetto sociale e all’attività di impresa.
Le start up innovative sono iscritte in una sezione apposita del registro delle imprese, a seguito di una dichiarazione apposita dell’organo gestorio resa in sede di costituzione o di approvazione del bilancio (ove i requisiti vengano meno, la società è cancellata d’ufficio dalla sezione speciale del registro delle imprese dedicata alle start up).
Tutti i requisiti delle società in esame devono permanere per i quattro anni di durata dei benefici, pena la perdita delle agevolazioni, che può essere disposta d’ufficio, anche su segnalazione del Nucleo Speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie della Guardia di finanza, deputato a reprimere eventuali frodi in materia.
LE DEROGHE DELLE START UP INNOVATIVE ALLE NORME DI DIRITTO COMMERCIALE COMUNE
Il contraltare dei requisiti sopra richiamati sono le misure di incentivazione fiscale previste dall’art. 29 del DL 179/2012 , le misure di flessibilità per i rapporti di lavoro sancite dall’art. 28 D.L. 179/2012 e diverse deroghe alla disciplina civilistica sancite dall’art. 26 D. L. 179/2012, in grado di rendere queste società più flessibili rispetto alle società di capitali di diritto comune, così da attrarre forme altrettanto flessibili di investimento, richiamate anche da una maggiore elasticità nelle dinamiche endosocietarie e nei meccanismi di controllo e di esercizio dell’attività di impresa.
Alcune di tali deroghe hanno valenza generale, altre invece sono riservate esclusivamente alle start up innovative costituite in forma di società a responsabilità limitata.
Per queste ultime è infatti ammessa la possibilità di prevedere nell’atto costitutivo la creazione di categorie di quote con diritti differenziati in modo da determinarne liberamente il contenuto, fino ad ammettere le quote con voto plurimo.
Sempre nell’atto costitutivo è possibile derogare all’art. 2479 del codice civile, prevedendo quote prive di diritti di voto o con diritti di voto non proporzionali alla partecipazione detenuta dal socio ovvero ancora, con diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di determinate condizioni purché non meramente potestative.
In parziale deroga all’art. 2474 del codice civile, che sancisce il divieto di acquisto di azioni proprie per le srl, è prevista la possibilità di emettere stock option quando l’operazione è direttamente connessa a piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote a dipendenti, collaboratori, amministratori e prestatori di opere e servizi, includendovi anche i professionisti.
Inoltre, le quote delle srl innovative possono essere anche passibili di offerta al pubblico di prodotti finanziari anche attraverso l’utilizzo di portali online, disciplinati all’art. 30 del D.L 179/2012, in deroga al divieto espresso previsto all’art. 2468, comma 1, del codice civile.
Particolarmente significativa appare la disciplina dell’impatto delle perdite sul patrimonio,
ove i diritti dei terzi appaiono parzialmente sacrificati pur di non disincentivare le start up ad assumere forme di rischio di impresa qualificato.
La disciplina in esame deroga infatti le disposizioni previste dagli artt. 2446, 2447 cod. civ. per le Spa, e 2482-bis e 2482-ter per le S.r.l., con un’unica disciplina valevole per tutte le start up, a prescindere dalla forma societaria.
Se le perdite non sono tali da ridurre il capitale al di sotto del minimo legale, è prevista una dilatazione dei tempi di reazione dell’organo gestorio, che può legittimamente convocare l’assemblea dei soci per la conseguente riduzione del capitale (nel caso non si sia provveduto a ripianarle) fino al secondo esercizio successivo al momento in cui esse si stono verificate.
Ove le perdite determinino invece una riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, è previsto che l’assemblea possa rinviare la riduzione del capitale e il contemporaneo aumento al minimo legale alla data di chiusura dell’esercizio successivo.
E’ infatti probabile che nel primo esercizio di attività, nelle società con un elevato coefficiente di rischio si verifichino perdite di esercizio: in caso riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, non ricorre la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484 del codice civile n. 4.
IL REGIME APPLICABILE ALL’INSOLVENZA START UP INNOVATIVE
Nel solco appena visto va inquadrata l’esclusione delle start up innovative da ogni procedura concorsuale prevista dalla legge fallimentare, rimanendo le stesse soggette alla sola procedura della composizione della crisi da sovraindebitamento prevista dalla legge n. 3 del 27 gennaio 2012, così come imposto dall’art. 31 d. l. 179/2012 (si deve intendere quindi che nemmeno l’accordo di ristrutturazione del debito e il concordato preventivo siano ammissibili per queste società).
E’ ipotizzabile l’applicazione dell’accordo di composizione della crisi e la procedura di liquidazione dei beni prevista dall’art. 14 ter l. 3/2012, mentre risulta esclusa per ovvie ragioni l’applicabilità del piano del consumatore, poiché non è immaginabile che una società di capitali operi al di fuori dei suoi scopi professionali.
Corollario delle disposizioni sopra richiamate è che le società in discorso non possano essere dichiarate fallite su istanza dei creditori o del pubblico ministero., né gli organi sono soggetti ai reati fallimentari poiché prevedono la sentenza di fallimento quale condizione di punibilità.
Inoltre, il richiamato art. 31 del d.l. 179/2012 stabilisce al secondo comma che, trascorsi dodici mesi dalla pubblicazione nel registro delle imprese del decreto di apertura della liquidazione previsto dall’art. 14 quinquies della citata legge 3/2012, la compagine sociale delle start up non sarà più visibile nel registro delle imprese, né nelle banche dati, presumibilmente per evitare che l’eventuale discredito conseguente all’insolvenza possa coinvolgere la credibilità dell’investitore nei terzi, così da disincentivarne la partecipazione al capitale di rischio.
A differenza degli altri soggetti non fallibili, le start up innovative godono di una esenzione solo temporanea dagli istituti previsti della legge fallimentare.
Infatti, la durata massima dei benefici è stabilita in quattro anni (e può essere revocata sia d’ufficio, sia come vedremo a breve, su istanza di parte).
Ove i requisiti richiesti dalla legge vengano meno, per il decorso del tempo ovvero per un provvedimento pubblicato nel registro delle imprese, occorre domandarsi se le società in questione siano assoggettabile al fallimento o a una procedura concorsuale minore.
Va infatti ricordato che a norma dell’art. 25 comma ottavo del d.l. 179 /2012 i benefici delle start up cessano con il venir meno dell’iscrizione della medesima nella sezione speciale del registro delle imprese appositamente istruita per esse.
Il creditore che ha interesse alla dichiarazione di fallimento della start up, inoltre potrà ricorrere al giudice del registro ex art. 2191 cod. civ. per chiedere la revoca dell’iscrizione nella sezione speciale dedicata nel registro delle imprese, per originaria o sopravvenuta perdita dei requisiti.
Parallelamente, i terzi interessati potranno far valere le proprie ragioni nell’accordo di composizione della crisi opponendosi all’omologa dello stesso ex art. 12 l. 3/2012 ed eccependo parimenti il difetto dei requisiti della start up e la conseguente inammissibilità dell’accordo approvato.
Con riferimento al procedimento di liquidazione dei beni, va osservato che se la società mantiene i requisiti per il periodo successivo al deposito del decreto di apertura del procedimento e fino all’eventuale provvedimento di esdebitazione, non vi saranno particolari criticità di coordinamento.
Se invece dopo l’apertura del procedimento di liquidazione dei beni dovessero venire meno i requisiti della start up, deve ritenersi che la revoca possa avvenire anche d’ufficio da parte del conservatore del registro delle imprese, qualora ad esempio non pervengano le dichiarazioni dell’amministratore che attestino la permanenza dei requisiti imposte dall’art. 25 comma quindicesimo del d.l. 179/2012, oppure per il decorso del termine quadriennale.
In tale ultima evenienza può forse essere sostenuto che la revoca dei benefici sia automatica e non necessiti di un apposito provvedimento da pubblicare nella sezione speciale del registro delle imprese, poiché la legge ricollega al decorso del quadriennio in ogni caso il venir meno dei benefici.
Venuti meno i presupposti, ipso iure o per effetto di un provvedimento del conservatore o ancora del giudice del registro, le società in disamina risultano pienamente assoggettabili agli istituti previsti dalla legge fallimentare.
I rapporti tra sovraindebitamento e istituiti della legge fallimentare impongono pertanto alcune ulteriori riflessioni.
INTERFERENZE TRA SOVRAINDEBITAMENTO E ISTITUTI DELLA LEGGE FALLIMENTARE NELLE START UP INNOVATIVE: DUBBI INTERPRETATIVI
La possibilità che l’accordo di composizione della crisi si converta in fallimento è sancita expressis verbis dall’art. 12 quinto comma l. 3/2012, che prevede la risoluzione ipso iure dell’accordo omologato allorquando sia pronunciata una sentenza di formale insolvenza a carico della società sovraindebitata.
Nella normativa sul sovraindebitamento il lemma “fallimento” compare soltanto nella citata disposizione.
La consecuzione (rectius, la successione) tra accordo di composizione della crisi e istituti della legge fallimentare può avvenire per l’intervenuto superamento dei limiti di fallibilità , oltre che nei casi in cui viene meno lo status di start up.
Nel fallimento successivo, la norma dispone che gli atti, le garanzie e i pagamenti posti in essere in esecuzione dell’accordo non sono revocabili (al pari di quanto disposto dall’art. 67 terzo comma lett. d) ed e) in tema di piano di risanamento, in materia di accordo di ristrutturazione del debito e di concordato preventivo).
Parallelamente, i crediti derivanti da finanziamenti in funzione o in esecuzione dell’accordo omologato sono prededucibili nel successivo fallimento.
La disposizione richiamata presuppone l’ammissibilità di una iniziativa fallimentare nei confronti dell’impresa sovraindebitata che abbia intrapreso uno degli istituti previsti dalla legge 3/2012.
Il legislatore tace invece in merito alla possibilità che venga dichiarata fallita la società che abbia intrapreso il procedimento di liquidazione dei beni previsto dagli art. 14 ter l. 3/2012, che comporta un periodo di transitoria sospensione di (almeno) quattro anni successivi al deposito della domanda (art. 14 quinquies ultimo comma); l’esdebitazione è solo eventuale ed è condizionata all’istanza di parte, da depositare dopo il decreto chiusura della liquidazione, alla ricorrenza di plurimi presupposti .
Ora, se le start up non possono durare più di quattro anni e il procedimento di liquidazione dei beni deve durare almeno quattro anni, ogni volta che verrà aperto un procedimento ex art. 14 ter l.2/2012 ci sarà sempre un periodo nel quale l’impresa è fallibile nonostante sia pendente la procedura di sovraindebitamento, a meno di non voler ipotizzare che una società depositi un ricorso non appena costituita perché immediatamente in crisi.
Né è possibile ipotizzare che le start up vadano esenti per un periodo indefinito alle procedure di cui al R.D 267/1942: la richiamata deroga per le start up innovative costituisce infatti norma eccezionale rispetto all’art. 6 l. fall., che attribuisce quale criterio generale il diritto dei creditori di richiedere il fallimento.
Infatti, tutti gli istituti previsti dal sovraindebitamento prevendono esclusivamente un avvio ad impulso volontario dell’impresa e non possono essere instaurati su istanza di terzi come la procedura prefallimentare, i quali non potrebbero richiedere l’apertura di una qualsiasi procedura diversa dal fallimento in capo al debitore strartupper in crisi.
Oltretutto appare arduo ipotizzare che l’esenzione dal fallimento possa esser procrastinata sine die, posto che la procedura di liquidazione dei beni comporta solo un automatic stay di almeno quattro anni, e solo eventualmente l’esdebitazione.
Pertanto anche una volta chiuse le operazioni di liquidazione, adottato il decreto di chiusura previsto dall’art. 15 novies l. 3/2012, la società sovraindebitata risulta pienamente fallibile e non potrà di certo usufruire dell’esenzione per le start up innovative, essendo trascorso il termine quadriennale previsto per i benefici ex art. 31 D.L. 179/2012.
Ne deriva che una corretta interpretazione imporrebbe la possibilità di dichiarare il fallimento anche una volta intrapresa la procedura di liquidazione dei beni, sia in pendenza di essa, sia all’esito della medesima.
Ma se così fosse, risulta evidente l’eterogenesi dei fini del legislatore, o quantomeno risulta ridimensionata l’area di non fallibilità delle start up innovative, che solo transitoriamente non sono soggette alle procedure di cui al R.D. 267/1942, ben potendo essere dichiarate fallibili entro i quattro anni di durata minima della liquidazione dei beni.
CONCLUSIONI
Le difficoltà di coordinamento delle disposizioni sulle start up innovative e sul sovraindebitamento rendono di dubbia efficacia la normativa che esenta queste imprese dall’applicazione degli istituti più propriamente concorsuali.
Il quadro di incertezza risulta aggravato dalla mancata menzione della liquidazione dei beni quale causa di non punibilità dei reati fallimentari, come già previsto per l’accordo di composizione della crisi, per il piano di risanamento e per l’accordo di ristrutturazione del debito e per il concordato omologati.
Ne consegue che, a una disamina più approfondita, al di là delle apparenze, lo status di start up innovativa non prevede un meccanismo di incentivazione al rischio di impresa per il tramite di una netta esenzione dagli istituti concorsuali, che, invece, risultano applicabili in modo solo differenziato rispetto alle altre imprese, ma inidoneo ad esentarle completamente dal fallimento come proclamato dal legislatore.
Articolo ripreso dal blog “Gli Squali di Wall Street” – autore: redazione