Commento sull’attacco della speculazione all’Italia di Oscar Giannino

Da Chicago Blog una serie di interessanti considerazioni di Oscar Giannino che riportiamo per i nostri lettori:

Quali sono, le ragioni che spiegano l’accelerazione dello spread italiano sul Bund in pochi giorni, e il crollo dei titoli bancari e a seguire dell’intero listino? E’ ovvio che non è successo nulla che abbia modificato i fondamentali. Non sono emersi ammanchi pubblici non rivelati al mercato, e restiamo l’euromembro che ha fatto in questi anni meno deficit pubblico subito dopo la Germania. Le banche italiane non sono state salvate dal denaro del contribuente né due anni fa né oggi, ma stanno ricapitalizzando con risorse dei propri soci. E allora?

Si è ufficialmente aperta una finestra molto succosa per il mercato mondiale: scommettere sulla sostenibilità del quarto debito pubblico al mondo (il terzo è quello della Germania, che per ammontare complessivo ci ha superato nel 2010, ma il suo Pil è ben maggiore del nostro). E’ un’opzione succosa, perché queste scommesse si vincono – cioè si fanno soldi a palate – giocando al ribasso, cioè con opzioni a breve su una certa soglia di Cds sovrano o bancario (il Cds è il derivato che stima il premio al rischio in caso di default del soggetto interessato, nel caso in cui gli si prestino soldi o gli si sottoscriva un titolo). Ed è un’opzione succosa per un’altra ragione.

Il linguaggio del realismo impone di dire e spiegare che la finestra è quasi del tutto indipendente dalla manovra finanziaria italiana appena presentata. Si voti o meno così com’è, la finestra resta aperta fino al 2013, quando scatterà la nuova cornice per il salvataggio degli euromembri in difficoltà visto che nessuno è riuscito sin qui a smuovere i tedeschi a “veri” interventi d’emergenza salvaeuro. E dunque, a meno cambio il quadro internazionale, è fino al 2013, che attualmente ritengono di dover essere ribassiste le forze potenti che scommettono sulla crisi dell’euroarea. Lo penso e lo dico a rpescidnere da quello che penso io, sull’euro e sulle sue attuali regole, perché non ha alcun rilievo di fronte a forze e processi di tale portata.

La prima grande molla internazionale che gonfia le vele alla volatilità al ribasso è dunque proprio l’errore europeo. L’errore franco-tedesco, ma germanico in primis. L’ho scritto e ripetuto molte volte. E’ una costosa e drammatica sciocchezza non voler dire da 19 mesi agli elettori tedeschi che occorrono strumenti straordinari, non previsti dal Trattato, volti non a salvare non la Grecia cicala o il Portogallo per la sua bilancia dei pagamenti o la Spagna per la sua bolla immobiliare, ma l’euro in quanto tale. Può essere che da tedesco sarei in prima fila a non volere gli aiuti: ma coerentemente dovrei dire allora che voglio un euro ristretto, insomma un marco rivalutato e travestito. Aver diluito gli aiuti condizionandoli a misure che strangolano i Paesi eurodeboli e rendono ancor meno sostenibile il loro debito può aver aiutato le banche tedesche e francesi a disfarsi della troppa carta pubblica greca che avevano in pancia, ma ha invogliato tutti i ribassisti del mondo a scommettere che entro il 2013 l’euro salta, se il Consiglio europeo non apre gli occhi. E come abbiamo detto mille volte, l’Italia vista la dimensione del suo debito pubblico sarebbe finita a lungo andare nel mirino, anche ad onta del suo basso deficit di questi anni.

La seconda potente molla si chiama America. Il 2 agosto si sfonda il tetto di debito pubblico autorizzato dal Congresso, 14,3 mila miliardi di dollari pari grosso modo all’intero GDP degli Stati Uniti. Manca ancora l’accordo tra Amministrazione e repubblicani che controllano la Camera dei rappresentanti, su come dosare tra tagli alle spese e tasse i 4 o 4,5 trilioni di dollari in un decennio che bisogna prevedere di minor deficit rispetto alle enormi spese aggiuntive accese dall’attuale Amministrazione, senza che per questo la disoccupazione americana scenda sotto il 9,2%, e il totale degli scoraggiati al lavoro sotto il 16-17% delle forze di lavoro complessive. E’ ovvio che ai fondi e alle grandi banche d’affari USA convenga con questi chiari di luna sul proprio mercato drammatizzare sull’Europa scommettendo sulla sua bassa tenuta, perché gli intermediari e gli investitori Usa sarebbero i primi a pagare invece i maggiori oneri di una crisi di credibilità della propria capacità di sostenere l’eccesso di debito.

La terza potente molla è quella del sistema bancario internazionale. In attesa venerdì prossimo dei risultati degli stress test europei – tra parentesi dico che questo esercizio è stato tecnicamente compiuto a mio giudizio coi piedi, consentendo alle banche tedesche di fare quello che vogliono o quasi e proiettando su tutte le altre lunghe ombre – l’interesse convergente del sistema internazionale ma soprattutto delle maggiori banche tedesche, francesi e britanniche – molte di loro in piedi grazie ai denari dei contribuenti – è a spingere verso il basso la capitalizzazione delle maggiori banche italiane. Unicredit e Intesa sono trattate oggi a prezzi ridicoli, rispetto ai fondamentali e ai mezzi propri. Non è leggenda metropolitana ma realtà, che qualcuno di molto forte in Germania pensa che così si spinga per esempio Unicredit – puliti nel frattempo gli attivi tedeschi e all’EstEuropa comprati anni fa a caro prezzo per come erano opacamente contabilizzati dai germanici – a ricederli agli stessi tedeschi a prezzi di saldo.

Attenti per favore. Io non penso e non sto affatto dicendo che l’Italia è vittima di una congiura. Lascio il complottismo a chi crede che il mercato sia guidato da pochi malefici gnomi. Il mercato è fatto da centinaia di migliaia di operatori che decidono sulle finestre di possibilità che vedono aperte. Ma la politica dovrebbe tenere gli occhi aperti, e sapere che nel mondo globalizzato meccanismi di questo tipo sono pronti a scattare sinergicamente, appena se ne creano le condizioni. Invece, la politica italiana non lo ha fatto.

Ed ecco i tre fattori interni. Si chiamano: dvisione verticale all’interno del governo dopo un anno e mezzo di polemiche laceranti, con diluizione della manovra originaria prima e durante il Consiglio dei ministri; le vicende giudiziarie di Marco Milanese, che lambiscono il Tesoro, con indebolimento conseguente di Tremonti anche per quanto Berlusocni ha detto su di lui a Repubblica; infine l’indebolimento ulteriore del premier, e quando dico ulteriore sconto che è di lungo tempo la perdita dells sua faccia nei consessi internazionali, per effetto della sentenza sul lodo Mondadori e del risarcimento di 560 milioni alla Cir.

Conclusione. Per realismo e se conosco i mercati, non basta affatto approvare la manovra com’è, cioè senza ulteriori diluizioni che erano annunciate, e il più rapidamente possibile in Parlamento. Onestà e serietà impongono oggi di dire che la danza macabra degli spread si interromperebbe solo per pochi giorni, rispetto all’attesa dell’eurocrac comunque entro il 2013. Occorre rafforzarla, la manovra, con almeno una decina di miliardi di euro di tagli aggiuntivi strutturali, e non di più tasse. Subito: per esempio ripristinando il tetto pensionabile a 65 anni per le lavoratrici private a cominciare dal 2012 e a pieno regime entro il 2018, non a cominciare dal 2020m fino al 2032 come hanno corretto la prima stesura. In più, aggiungendo privatizzazioni immobiliari per un paio di punti di Pil almeno. State attenti. Io vorrei sbagliare. Ma o si ha la forza di far così, subito, oppure di qui alla fine della legislatura sarà un calvario. E alla fine sarà patrimoniale.