Ci sarebbe da dire ancora tanto sul governo Monti e sulla manovra economica che sembra fatta dallo zio di Bonanni, che di economia non capisce nulla (lo zio non il sindacalista).
I sostenitori del governo si affannano a dire che grazie a Monti l’Italia ha recuperato peso e dignità nei consessi europei. Può essere che l’ aplomb british, le belle cravatte e i completi da grande sartoria assicurino a Monti una considerazione maggiore di quella goduta dal troppo italico e casereccio Berlusca, ma questo, in realtà del tutto indimostrato maggior peso europeo dell’Italia, non si traduce in nulla di concreto per gli italiani, e comunque l’eurozona continua ad essere governata dal Direttorio franco-tedesco.
Di certo ed innegabile vi è invece la situazione interna dell’Italia, caratterizzata da una progressiva perdita del potere di acquisto delle famiglie (e, se è per questo, anche dei singles) e da un continuo aumento dei prezzi, soprattutto per quelle forniture (benzina, luce e gas) alle quali è difficile o impossibile rinunciare. Due fenomeni solo in apparenza contrastanti, che quando si presentano uniti mandano inevitabilmente in fallimento qualunque società. Due fenomeni esiziali, che la manovra dello zio di Bonanni non contrasta, ma favorisce.
Oggi tuttavia vorrei occuparmi di un’altra cosa, di un errore d’immagine (difatti si è cercato di parlarne poco) del presidente Monti. Mi riferisco alla conferenza tenuta a Roma il 16 dicembre a Palazzo Koch (sede della Banca d’Italia, non di quella d’Inghilterra o della Federal Reserve) per ricordare il grande economista, ma pessimo ministro ( de mortuis nihil nisi bonum, e tuttavia come dimenticare che quando faceva parte del governo Prodi venne collocato all’ultimo posto in una classifica dei ministri economici dell’intero Occidente?) Tommaso Padoa-Schioppa.
Tutti gli interventi, a cominciare da quello del presidente del Consiglio (e da quello di Mario Draghi) sono stati tenuti rigorosamente in fluent english. E’ ben possibile che, pur svolgendosi l’incontro a Roma, nella capitale d’Italia, tutti i presenti capissero perfettamente l’idioma britannico e qualcuno non conoscesse invece l’italiano.
Tuttavia in simili casi nei paesi normali si provvede a garantire una traduzione simultanea per chi ignora la lingua nazionale. A Palazzo Koch (il palazzo prende il nome dall’architetto Gaetano Koch, di origine tirolese, ma nato a Roma) invece il traduttore sarebbe stato necessario per un italiano che, pur ignorante dell’inglese, fosse riuscito ad intrufolarsi nella cerimonia (senza dubbio un volgare intruso).
Ora forse non è il caso di farne questione di orgoglio patriottico e di vieto nazionalismo anche se è un po’ singolare che la scelta “inglese” sia stata fatta proprio dal figliolino prediletto del nostro Presidente della Repubblica, che per tutto l’anno ci ha riempito le orecchie e la testa con l’Italia “Una di lingua”, come suona il titolo della mostra “risorgimentale” inaugurata a Firenze l’11 ottobre.
L’aspetto che però preoccupa è che all’italiano Presidente del consiglio della Repubblica italiana e alla massima parte degli intervenuti alla cerimonia (o magari a tutti) sia sembrato perfettamente naturale, nonostante che la cerimonia venisse trasmessa in diretta da SkyTg24 per i suoi italici abbonati, il ricorso all’inglese. Purtroppo, probabilmente a ragione. Si tratta, difatti, della lingua madre della Grande Finanza Internazionale sicché usarla è del tutto naturale per i suoi rappresentanti e grands commis.
Articolo ripreso dal sito ariannaeditrice.it