Proponiamo il giudizio di Giulio Sapelli, docente di Storia economica e Analisi culturale dei processi organizzativi presso l’Università degli Studi di Milano e coordinatore del programma di ricerca Economia e Società della Fondazione Eni Enrico Mattei.
Perché dice che l’Europa ci sta portando alla catastrofe?
Innanzitutto per colpa dell’euro. Ricordo che l’economista Paolo Baffinon voleva neanche entrare nel sistema monetario europeo (SME) perché sono troppo diverse le condizioni strutturali dei paesi della zona euro. Come ho scritto anche nel libro “Southern Europe since 1945”, l’Europa del Sud ha una diversa formazione economico-sociale, identità nazionale, sistemi di welfare. Ora si vuol fare anche di peggio, unificando i sistemi fiscali degli Stati europei.
Vogliamo fare la moneta unica? Guardiamo al modello svizzero o a quello americano, con libertà di bilancio e differenze tra gli Stati. La California e il Milwaukee (ndr: forse il Wisconsin..?) sono falliti, ma gli USA non si sono stracciati le vesti, perché hanno un fondo di ripartizione.
Noi non dobbiamo avere un’Europa federale, ma confederale. Se sottraiamo sovranità agli Stati membri, caos e disgregazione saranno inevitabili. Gli autori del manifesto di Ventotene (Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni con Ursula Hirschmann, ndr) volevano gli Stati Uniti d’Europa avevano in mente la Svizzera, non la porcheria attuale che abbiamo, dove c’è un Parlamento che non può neanche votare le leggi, perché le fa la Commissione europea, e le chiama direttive! Poi scopri che in realtà l’Europa non c’è quando Francia e Germania chiudono le frontiere ai migranti. L’Europa è una fabbrica delle menzogne.
Passiamo ora all’Italia. Il suo ultimo libro (“Vecchi versus giovani: la questione generazionale nella crisi economica mondiale”, 2014, ndr) parla della questione generazionale in Italia. Qual è la sua visione della lotta tra generazioni?
Non esiste. Le faccio un esempio pratico. Io sono andato a lavorare a 17 anni, da studente serale. Attualmente ho 47 anni di contributi. Ho rubato qualcosa ai giovani? Tutto quello che ho accumulato, è andato nelle casse dell’Inps. Quando morirò, i miei soldi andranno all’Inps e ai giovani. Noi abbiamo tolto il sistema distributivo, di cui di parla solo delle nefandezze: alcune categorie si sono infatti fatte considerare ai fini del calcolo gli ultimi anni di carriera in cui percepivano uno stipendio più alto. Ma a parte questo, il sistema distributivo rappresentava la solidarietà tra generazioni.
Ma come spiega allora le diverse opportunità lavorative offerte ai giovani e ai loro genitori?
Questo è dovuto allo scandaloso diritto del lavoro che abbiamo. D’altra parte, noi abbiamo abdicato al rapporto tra le parti sociali. Io mi sono sempre battuto contro lo Statuto dei diritti dei lavoratori perché i rapporti sociali vanno regolati tra le parti sociali, con la contrattazione di primo livello. Sono ancora adesso un militante della Cisl, oltre che professore, e farei dei contratti di lavoro validi solo per gli iscritti ai sindacati, non per tutti.
E che fine farebbero i contratti dei giovani, tendenzialmente non iscritti ai sindacati?
Peggio per loro, dovrebbero iscriversi ai sindacati, perché solo l’unione fa la forza. Comunque anche i sindacati devono cambiare. Quando andrò in pensione, ho in mente di sciogliere il sindacato dei pensionati e creare un sindacato unico, che si chiamerà Oltre il lavoro e rappresenterà giovani precari, disoccupati e pensionati.
Ma il sindacato non dovrebbe già rappresentare tutti?
No, il sindacato deve difendere solo i suoi iscritti, ma senza andare contro l’interesse nazionale: per esempio, il sindacato degli assistenti di volo non può bloccare tutti i voli nazionali. Penso come modello al sindacato americano, che ha addirittura anche fatto un accordo col sindacato dei clandestini, che assicura loro servizi medici e legali.
Coi sindacati si è scontrato parecchio il premier Renzi, soprattutto per via del Jobs act. Cosa ne pensa di lui?
Renzi è un frutto genuino del rinnovamento nazionale, ma è aiutato dagli inglesi e dagli americani. Non a caso l’ambasciatore della Gran Bretagna è quello che va di più nei talk show. Non c’è nessun altro paese al mondo che permette a un ambasciatore di andare a un talk show: sarebbe subito convocato dal ministro degli Esteri e mandato a casa.
Tanti dicono che siamo succubi della Germania…
L’Italia è un paese molto interessante: al Nord siamo schiavi della Germania, che finanzia la Lega Nord. Però, come ci insegnava lo storico Rosario Romeo, il manico ce l’hanno gli inglesi e gli americani. Io sono molto favorevole a questo rapporto, però vorrei che avesse una legittimazione popolare attraverso un processo elettorale.
A questo proposito, ha avuto un ruolo molto nefasto nella storia della Repubblica italiana l’ex presidente Giorgio Napolitano, non solo per aver sostenuto l’ascesa di tre premier non eletti, ma soprattutto per aver fatto cadere il Governo Berlusconi nel 2012 per nominare un esponente mediocre della sordida borghesia milanese come Mario Monti alla presidenza del Consiglio. Io sono un antiberlusconiano convinto, ma per me quello è stato un vulnus alla democrazia.
Ancora sul versante politico, lei parla di una “devertebrazione dello Stato” e di una “frantumazione della società italiana”. Cosa intende?
Lo Stato italiano è “devertebrato” perché la Magistratura ha assunto un potere smisurato, visto che la politica non c’è più, e il potere esecutivo è succube di quello giudiziario. Tutta colpa dell’appoggio della sinistra al giustizialismo che si creò all’epoca di Tangentopoli.
La frantumazione della società è dovuta al fatto che prima l’Italia era tenuta insieme dall’impresa pubblica e dai grandi partiti, ma ora abbiamo distrutto tutti e due. Le imprese private non possono prendere il posto lasciato vacante da quelle pubbliche perché sono troppo piccole. Le grandi imprese private non ci sono più. Il risultato è che ora siamo un paese allo sbando, pur avendo tante persone brave, ragazzi seri, lavoratori umiliati e soffocati in questi anni.
Come è cambiato il capitalismo italiano prima e dopo la crisi?
Le banche d’affari hanno assunto troppo potere e le PMI hanno mancato l’occasione di fare corpo comune e porre unite delle idee forti alla politica. Prima della crisi l’impresa pubblica, Mediobanca e i grandi partiti governavano l’Italia e quindi anche l’economia. Con le privatizzazioni fatte da Prodi (presidente dell’IRI negli anni Novanta, ndr), abbiamo distrutto il nostro patrimonio industriale di grandi imprese. Quelle piccole sono piene di eroi, che però si combattono l’un l’altro. Ci vorrebbe più unione, pensiero politico, una Confindustria che abbia una mente politica.
Purtroppo però l’organizzazione degli industriali ha schiacciato, umiliato e cacciato via quelle che aveva. Non si può lavorare contro il Paese e poi stupirsi che questo sia allo sbando. Ma, da italiani, bisogna avere un’obbligazione politica o morale: senza doveri, non ci sono diritti.
Fonte: blog adviseonly.com – autore: V_Magri
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