Cosa fa un consulente finanziario indipendente nella sua attivita’

Certamente avrai sentito parlare di pianificazione finanziaria, quando volevano venderti una polizza vita o un prodotto per l’integrazione della pensione. Parlare, però, di pianificazione del patrimonio significa occuparsi innanzitutto della persona, non del suo denaro. Vi spieghiamo perché.

Quasi sempre le persone accumulano denaro senza porsi la domanda: perché lo faccio? O meglio, magari se la pongono, e la risposta che ne ricavano è: “Perché non si sa mai, il futuro ci può riservare brutte sorprese e quindi meglio cautelarsi e mettere il fieno in cascina per i tempi di magra”. Oppure “Perché nella mia famiglia è sempre stato così, questo è quello che mi hanno insegnato, etc etc”.

Tutto questo ha un senso se però individuiamo le mete che vogliamo raggiungere, perché altrimenti tanto varrebbe sottoscrivere una polizza assicurativa contro ogni rischio e vivere tranquilli!

Di solito questi obiettivi non sono così consci e spesso chi investe si dimentica di tutelare aspetti importanti della propria vita. Per arrivare a una consapevolezza piena dei propri obiettivi di vita è utile, e talvolta indispensabile, confrontarsi con un terzo che ci aiuti a riflettere, a mettere a fuoco; qualcuno che metta in evidenza le falle dei nostri piani.

Questa figura è il consulente patrimoniale indipendente o patrimonialista (un termine coniato ad hoc, non esiste nel vocabolario della lingua italiana), che affianca il cliente in tutto il percorso di identificazione degli obiettivi e di pianificazione dei propri investimenti.

Prima occorre definire quali sono le priorità della propria vita, quali persone sono da tutelare, quali sono gli obiettivi concreti e quali i sogni. Soprattutto quale obiettivo, se non raggiunto, può mettere in seria difficoltà. Poi si definiscono le strategie migliori per riuscire a raggiungere le mete prefissate, evidenziando anche percorsi alternativi utilizzabili in caso di intoppi lungo la strada maestra delineata.

Quindi si verifica periodicamente lo stato delle cose, sia dal punto di vista degli obiettivi (che possono mutare o possono accrescere, nel tempo) sia dal punto di vista dei mezzi utilizzabili allo scopo. E’ una consulenza senza conflitto di interessi, perché non è remunerata dalla vendita di un prodotto, ma è il cliente che paga il servizio e che in ultima analisi decide. Pertanto il consulente può consigliare quello che ritiene più efficace in termini di costi/benefici.

Ma c’è di più: il suo onorario è anche svincolato dall’entità del capitale. Il motivo è semplice. Come si potrebbe consigliare, in tutta libertà, di investire in prodotti non finanziari, se la parcella fosse correlata solo al valore del capitale investito?

Un esempio: supponiamo che ad un cliente, per tutto ciò che è emerso dai colloqui e in ragione delle sue necessità, sia opportuno consigliare l’acquisto di un immobile. La somma necessaria viene prelevata dal suo patrimonio, che quindi decresce, diciamo del 30%.

Se il valore della parcella si basasse esclusivamente (in percentuale) sul valore del patrimonio investito in titolo, azioni, fondi, è evidente che il consulente sarebbe tentato dal dissuadere dall’acquisto, anzi sarebbe portato a cercare di non far mai liquidare nulla del patrimonio in questione, per mantenere la parcella a livelli costanti.

Al contrario, quando un cliente vuole liquidare un prodotto finanziario, per il venditore del prodotto vendita=perdita di commissioni=allarme rosso. Dato che il consulente vuole essere un punto di riferimento per il suo cliente e vuole consigliarlo nel suo esclusivo interesse, deve prescindere dai valori in gioco. Piuttosto basa la sua parcella sulla complessità e il numero delle strategie da attuare.

Non è affatto detto tra l’altro che un patrimonio superiore comporti parcelle superiori. Dipende se le strategie sono poche in numero o semplici. E per patrimonio si intende non solo quello finanziario, ma quello complessivo. Quindi titoli, obbligazioni, fondi, etc., e anche immobili, assicurazioni, beni rifugio, pensione integrativa…

La pianificazione finanziaria della gestione del proprio patrimonio pone il problema della tutela dei propri beni, vale a dire della protezione del patrimonio personale da eventi che potrebbero distruggerlo. Nessuno è esente da questi rischi.

Hai mai pensato a quale responsabilità ha l’amministratore di una società? O semplicemente a quali responsabilità ha un padre di famiglia? Facciamo qualche esempio. L’Art. 28 della Costituzione dice che: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti.”

L’Art. 2476 C.C. dice che “Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’amministrazione della società.” E poi: “L’introduzione, nelle S.r.l., della possibilità spettante a ciascun socio, indipendentemente dalla quota di capitale sociale sottoscritto, di promuovere azioni di responsabilità nei confronti degli Amministratori”.

Il Decreto Legislativo 81/2008 definisce ‘Le responsabilità del committente nella sicurezza del cantiere’, dove committente viene definito come il “soggetto per conto del quale l’intera opera viene realizzata, indipendentemente da eventuali frazionamenti della sua realizzazione”. Cioè un banale lavoro di tinteggiatura nella propria abitazione genera una responsabilità del committente.

Avere una responsabilità significa doverne rispondere con i propri beni, presenti e futuri. E se il patrimonio viene distrutto, è evidente che non si potrà raggiungere nessun obiettivo. Esistono alcuni strumenti, legalmente riconosciuti, a tutela del patrimonio o degli eredi (per citarne alcuni, fondo patrimoniale, trust, vincoli di destinazione), il cui utilizzo (singolo o combinato) è strettamente legato alle persone da tutelare e alle loro esigenze.

In un ambito di planning complessivo, è necessario quindi valutare se esistono dei rischi per il patrimonio e quanto sono probabili, quindi utilizzare gli strumenti più adatti alla protezione della famiglia. Non è mio compito costituire trust o fondi patrimoniali (lo fa il notaio), ma è fondamentale capire di cosa il cliente ha bisogno e in quale misura, per poter indicare le soluzioni più efficaci, sempre considerando il patrimonio nel suo insieme.

Il notaio annota quello che il cliente dice di fare, nel rispetto della legge, ma non sa, perché non ne conosce tutti gli aspetti, se quello che egli decide è veramente adatto alla sua situazione. E’ necessaria anche l’assistenza di chi, come un consulente patrimoniale, ha chiaro il quadro complessivo e gli obiettivi della vita della persona, e non ha prodotti da vendere.

Insomma, il consulente patrimoniale vuole comprendere a fondo il suo cliente, per poter essere un suo punto di riferimento, affidabile nel tempo e assolutamente indipendente da criteri di vendita, nell’esclusivo suo interesse.

 

Articolo ripreso dal blog “Gli Squali di Wall Street”