Nelle trattative fra le autorità di Berna e quelle di Washington sulle migliaia di conti offshore detenuti nelle banche svizzere, entrano in gioco anche le azioni legali condotte nei confronti di sette banchieri ed ex banchieri di Credit Suisse.
Lo riporta l’agenzia Bloomberg, secondo la quale l’atto di accusa depositato lo scorso 21 luglio punta il dito contro tali dirigenti: “Sapevano, o avrebbero dovuto sapere, che stavano aiutando i loro clienti statunitensi a evadere le tasse” – vi si legge – nascondendo in conti offshore i loro capitali che non erano stati dichiarati all’Internal Revenue Service.
Nonostante ciò, secondo alcune indiscrezioni, i loro legali avrebbero intenzione di chiedere al dipartimento di giustizia di archiviare il caso. L’obiettivo è quello di dimostrare che i loro assistiti non siano altro che pedine all’interno della più vasta disputa che coinvolge i due Paesi.
E che il loro comportamento non sia stato diverso da quello di tutti gli altri. Per questo motivo, i loro casi non andrebbero presi in esame singolarmente ma ricondotti nell’ambito degli accordi fra gli Stati Uniti e la nazione alpina. Per ora non è stata rilasciata alcuna dichiarazione ufficiale: secondo voci non confermate, gli avvocati avrebbero richiesto un incontro al procuratore generale James Cole.
Nel frattempo continuano le indagini degli inquirenti americani su Credit Suisse e su altre dieci banche elvetiche. Sembra che la strada più probabile sia quella di un patteggiamento, che comporterebbe per l’istituto il pagamento di risarcimenti milionari e la consegna dei nomi di migliaia di cittadini americani che custodiscono i propri capitali all’estero.
Si tratterebbe di una soluzione simile a quella adottata nel 2009 da UBS, che ha sborsato 780 milioni di dollari e ha fornito i dati di oltre 4.500 conti.
Articolo ripreso da valori.it