L’anno scorso in Italia è proseguita la crescita dei fallimenti di imprese, iniziata con la crisi: si è arrivati a quota 12.094 (+7,4% rispetto al 2010), il massimo da quando è stata riformata la disciplina. Lo affermano dati Cerved, secondo i quali per crack aziendali dal 2009 si sono persi oltre 300mila posti di lavoro.
Nel corso del 2011 i fallimenti in Italia sono aumentati in tutte le forme giuridiche, con una crescita più sostenuta tra le società di capitali (+8,6% sul 2010) rispetto alle altre strutture societarie (+4,7%).
Secondo il Cerved, leader in Italia nell’analisi delle imprese e nello sviluppo dei modelli di valutazione del rischio di credito, gli Insolvency ratio (Ir) che misurano la frequenza dei default (cioé il numero di fallimenti ogni 10.000 imprese operative) indicano che le aziende più colpite sono state le piccole e medie imprese (precisamente quelle con un attivo compreso tra i 2 e i 10 milioni di euro, con un Ir di 132 punti) seguite da quelle con un attivo tra i 10 e i 50 milioni, con un Insolvency ratio a quota 127.
Nel 2011 è proseguito l’aumento dei fallimenti soprattutto nei servizi (+10% rispetto al 2010) e nelle costruzioni (+7,8%).
In controtendenza l’industria che, pur rimanendo il macrosettore con la maggiore frequenza di fallimenti (Ir a 39 punti), ha registrato un’inversione di tendenza rispetto al 2010 (-6,3%). Il risultato, secondo il Cerved, è da attribuire soprattutto ai miglioramenti dei settori che negli anni precedenti hanno pagato un conto più salato alla crisi.
Alla meccanica, per esempio, con un Ir che passa dai 70 punti del 2010 a 60 del 2011, alla chimica (da 59 a 46), al sistema moda (da 54 a 46), alla siderurgia (da 51 a 40). In peggioramento invece il sistema casa, da 54 a 59 punti di Insolvency ratio, e la filiera auto, da 45 a 53 punti.
Dal punto di vista territoriale, la crescita dei fallimenti osservata nel 2011 ha riguardato tutte le aree italiane ad eccezione del Nord Est, in cui il numero delle procedure fallimentari ha limato i livelli del 2010 (-0,3%). Gli oltre 12mila fallimenti complessivi del 2011 rappresentano il massimo registrato in un singolo anno da quando nel 2006 è stata riformata la disciplina fallimentare.
“Un dato – afferma Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved Group – che sebbene non superi in termini assoluti il record toccato nel 2005, quando ancora potevano accedere alle procedure anche le microimprese, evidenzia ripercussioni più gravi rispetto al passato vista la maggiore dimensione media delle imprese coinvolte, i costi in termini di posti di lavoro persi e la ricchezza non prodotta, significativamente maggiore”.
Articolo ripreso da gazzzettadelsud.it