Lavorare stanca però ti aiuta a vivere. Centinaia di migliaia di persone in Italia sono rimaste senza lavoro a causa delle speculazioni dell’Alta Finanza internazionale che ha innescato una recessione economica devastante nella quale siamo tutti immersi.
Una deriva economica e sociale alla quale ha offerto un contributo non indifferente il ministro in lacrime, Elsa Fornero, che con la sua riforma del mercato del lavoro ha creato il terreno più adatto per permettere che i licenziamenti siano sempre più facili.
Secondo i dati offerti dallo stesso Ministero, nei primi nove mesi del 2012, in Italia ci sono stati 640 mila licenziamenti con un aumento dell’11% sul 2011. Dati confermati anche dal’Eurostat che ha stimato che alla fine di quest’anno il livello della disoccupazione sarà salito al 12%.
Ma non è colpa soltanto della Fornero ma del governo in carica e di tutti i governi che lo hanno preceduto. E’ colpa dei partiti di destra e di sinistra che hanno approvato la riforma Fornero, votandola in Parlamento, e che non sono riusciti a partorire uno straccio di politica industriale.
Partiti che si sono appiattiti sulle posizioni dei grandi gruppi industriali italiani che, per esportare in Paesi come la Cina, il più grande mercato del mondo, hanno imposto, in nome del principio di reciprocità, l’abbattimento delle barriere doganali, con la scusa che ce lo chiedevano l’Unione europea e l’Organizzazione mondiale del Commercio.
Ma quella che poteva andare bene per aziende come la Fiat, non poteva andare bene per centinaia di piccole imprese nazionali, tipo quelle tessili, che non sono state più in grado di resistere ad una concorrenza basata sul prezzo, grazie ad un costo del lavoro 8-10 volte inferiore di quello italiano. E per buona parte di esse la chiusura è stato un traguardo inevitabile.
A questo dato più aziendalista si è aggiunta poi la stretta creditizia che ha accresciuto le difficoltà delle imprese che si sono viste negare le risorse finanziare per investire nell’innovazione tecnologica. E questo è accaduto nonostante le banche fossero gonfie di soldi per i prestiti triennali ricevuti dalla Bce al modico tasso di interesse dell’1%.
Così, grazie ad un effetto domino, con le imprese senza risorse per investire e per pagare i fornitori, imprese non più in grado di farsi pagare dallo Stato per le forniture fatte di beni e di servizi, si è innescato un effetto domino devastante e inarrestabile. Un effetto del dispiegarsi di quel Libero Mercato tante volte invocato come la panacea di tutti i mali e come l’elemento indispensabile per favorire lo sviluppo e la crescita economica e che invece ha dimostrato di essere soprattutto l’occasione per i grandi gruppi, protetti dai governi e dai vertici bancari, per fare i propri interessi a danno delle piccole imprese.
Il governo Monti ci ha messo molto di suo, dando l’impressione di pensare soprattutto alle necessità di imprese come la Fiat che da anni ha avviato la smobilitazione degli stabilimenti italiani e il trasferimento della produzione in Paesi come Serbia, Brasile e Polonia, nei quali il costo del lavoro è molto inferiore a quello italiano.
E che in questa sua tendenza ha trovato a Palazzo Chigi la più ampia comprensione in nome della libertà di impresa che il Lingotto ha sempre sostenuto, specie quando si trattava di impedire ai concorrenti esteri di produrre auto in Italia e soprattutto di venderle.
Fonte: rinascita.eu