Secondo Confucio l’onestà è l’anima del commercio e il motore dell’economia: questo assunto non vale di certo più se intercalato nella nostra epoca. Tanto le economie occidentali sviluppate quanto quelle asiatiche emergenti in congiunzione a quelle dell’America Centrale e Meridionale guardano ormai solo ai consumi ed agli investimenti, come unico e vero motore dell’economia.
Anche a livello individuale si consuma se vi sono proiezioni di benessere e ricchezza in costante crescita e si investe se vi sono accettabili margini di profitto. Pertanto il motore dell’economia oggi è diventato la percezione del sentiment economico previsto nell’immediato futuro: il tutto può essere anche ricondotto al concetto utilitarista di fiducia.
Sostanzialmente si acquista una nuova automobile, si programma una nuova vacanza esotica, si pianifica di ampliare il proprio fabbricato industriale o l’ammodernamento delle linee produttive, qualora vi siano previsioni di un miglioramento economico o eventualmente anche di una fase di stabilizzazione del tessuto economico a cui si appartiene. Viceversa la percezione di un futuro peggiore, con un orizzonte incerto, congela, frena e riduce globalmente tanto i fenomeni di consumo quanto quelli di investimento.
Continuare a parlare a tal punto solo di crisi finanziaria rimane riduttivo: quello che era iniziato con uno shock finanziario nel 2008 si è trasformato nel tempo in una crisi di fiducia. Immagino che molti di voi siano a conoscenza delle politiche monetarie ampiamente espansive portate avanti negli ultimi due anni da Stati Uniti e Inghilterra, cui abbiamo visto recentemente affiancarsi il Giappone con la tanto osannata Abenomics (che prende il nome dalla politica economica del primo ministro nipponico, Abe Shinzo).
Queste tre grandi potenze economie del mondo sviluppato hanno scelto di aumentare massivamente la loro base monetaria con interventi che in passato non si sono mai visti prima. L’intento che si vuole perseguire è spingere i consumi, attraverso un costo del denaro ormai irrisorio che dovrebbe invogliare i consumatori a contrarre altri prestiti o a pagare meno quelli precedentemente contratti, generando un indotto effetto ricchezza. Questo dovrebbe sprigionare un tanto atteso effetto ricostituente per le rispettive economie, infondendo propositi di fiducia sul futuro che verrà. Addirittura nel breve si confida di poter arrivare ad avere tassi negativi sui depositi bancari a causa dell’inflazione che comunque si sta ancora manifestando molto blandamente.
La speranza pertanto mira a mutare l’attuale stato di fiducia, spingendo i consumatori ed i risparmiatori ad investire in modalità più tangibili e meno finanziarie il denaro parcheggiato nelle loro banche confidando in ritorni maggiori e più gratificanti. In vero niente di tutto questo sta avvenendo o meglio non avviene in misura così rilevante e considerevole rispetto alle attese, Giappone compreso, nonostante i proclami e l’euforia dei primi mesi della Abenomics.
Il risultato è modesto, molto modesto, quasi insignificante se rapportato ai mezzi eccezionali e straordinari cui hanno fatto affidamento le tre diverse banche centrali dei paesi sopra menzionati con il fine dichiarato di inflazionare il sistema (quindi socializzare i debiti di banche e governi) ed evitare l’avvitamento in una spirale deflattiva, che spaventa molto più di una inflazione galoppante. La storia ci insegna infatti che in diverse epoche assoggettate a crisi economiche (cicliche, ma non strutturali) la risposta è sempre arrivata da una voluta ricerca di sana inflazione. In contrasto, l’Europa per voce della sua banca centrale si sta invece comportando in controtendenza, vale a dire politica monetaria poco espansiva e controllo con supervisione asfissiante sulla stabilità e solidità dei grandi gruppi bancari europei.
Tutto il mondo sta guardando alla BCE, la quale non vuole dar segnali di consenso ed allineamento sulle scelte intraprese dalle altre tre banche centrali. Che sia possibile che qualcuno si è reso conto che stampare denaro in questo momento non serve a nulla, anzi nel medio termine potrebbe essere addirittura controproducente.
Non sarà che i tanto denigrati tedeschi con la loro ottusa politica di austerity e risanamento contabile si sono resi conto che, nonostante i differenti rating finanziari, tutte le nazioni europee (Finlandia e Lussemburgo a parte) in realtà sono accomunate dallo stesso outlook economico sintetizzato dalle tre D: deficit, debito e demografia. Pertanto per quanto si cerchi di invogliare a consumare ogni contribuente europeo o ad effettuare investimenti in qualche impresa europea, il risultato che si otterrà sarà sempre molto deludente a causa della sfiducia e paura che si ripone nel prossimo futuro, paura che produce un inevitabile rallentamento, se non declino economico.
Per ovvie conseguenze demografiche si dovranno nei vari paesi in questione affrontare pesanti sacrifici attraverso tagli immaginabili allo stato sociale, pensioni e assistenza sanitaria di base, che impatteranno profondamente sul livello dei consumi e sul benessere percepito. In questo contesto stampare denaro non solo non serve in teoria, ma anche in pratica come stanno dimostrando i dati macro di USA, Inghilterra e Giappone.
Articolo di Eugenio Benetazzo, ripreso dal sito eugeniobenetazzo.com