E’ un po’ la situazione in cui ci troviamo in questo momento in Italia, in cui il potere politico ha assunto una forma che non e’ completamente supportata dalla democrazia popolare, almeno secondo la nostra opinione.
Forse nei momenti critici della storia si ritiene necessario, del resto lo facevano gia’ i Romani che nominavano un generale come dittatore per un tempo limitato (qualcuno non finiva benissimo, ma non badiamo a questi miseri dettagli..). Vedremo come andranno a finire i nostri attuali e se basteranno per risolvere o perlomeno tamponare i problemi dell’Italia.
Di seguito l’interessante articolo ripreso dal Futurista.
In ogni democrazia degna di tale nome, solitamente ci si interroga costantemente in merito alle decisioni portate avanti da coloro che detengono lo scranno del potere. In parole povere, la questione oggetto di riflessione è perennemente quella che ruota intorno al dilemma irrisolto se una maggioranza congressuale o parlamentare sia sufficiente a configurare il pieno rispetto delle regole democratiche.
È proprio su questo aspetto che, generalmente, i mestieranti della politica saliti, fortunosamente o rocambolescamente, agli onori della cronaca tendono a commettere puerili errori di interpretazione e valutazione. Non è sufficiente, infatti, pretendere che una deliberazione approvata dalla maggioranza assembleare conferisca ad un governo piena autorità e diritto di portare avanti quella decisione.
In un regime dove il significato di democrazia sia veramente rispettato, la popolazione, tendenzialmente, ottiene quello che chiede, e, cosa ancora più importante, in genere non riceve quello che non chiede. Il risultato della competizione democratica non dipende solo dal rispetto delle procedure e delle regole, che sono così preservate, ma anche dal modo in cui le diverse alternative esistenti e possibili sono usate dai cittadini che non occupano una poltrona nell’assemblea rappresentativa.
È un concetto che si spinge oltre la generale filosofia di pensiero. Per questo è sempre più necessario ed opportuno uscire dagli schemi collaudati del proprio tornaconto personale per andare al di là di quella visione miope che appartiene a coloro che sono in possesso di una cultura campanilistica.
Questa è una delle ragioni per cui è fondamentale avere l’abilità e la capacità di tesaurizzare esperienze vissute e raccontate, con profonda umiltà, da personaggi che hanno rivestito cariche politiche importanti e hanno percepito che qualsiasi sfida futura può essere vinta solo se tutti i partecipanti al gioco sono alla fine trionfatori.
Ben lungi dal voler affermare che ogni manifestazione di volontà politica debba essere improntata al compromesso. In quest’ultimo caso, infatti, la risultante si è rivelata il più delle volte un mero fallimento, perché nessun beneficio ne ha tratto la collettività.
Ciò che, al contrario, si vuol cercare di far comprendere è che qualsiasi decisione che impatta sui cittadini deve essere del tipo “win-win”, sia per chi la adotta, sia per coloro sui quali si produrranno le conseguenze. Questa è la direzione verso la quale deve tendere l’esercizio del potere da parte di amministratori. Essenziale è che essi devono essere disinteressati a raccogliere frutti personali, o di breve periodo, per consentire a tutti indiscriminatamente di poterne trarre vantaggi perpetui.
A poco serve aggredire con supponenza gli avversarsi, vomitandogli addosso i peccati commessi nelle precedenti gestioni. Sarebbe maggiormente produttivo fargli capire che le deliberazioni adottate non hanno prodotto i risultati sperati o, in alternativa, hanno avuto un contenuto scarsamente lungimirante, tamponando un’emergenza del momento e creando le premesse per un disastro futuro.
La lezione storica, però, non sembra aver sortito alcun effetto, anzi pare aver rinforzato comportamenti devianti rispetto all’interesse pubblico. E’ un discorso articolato e complesso, ma che sicuramente trova ampio consenso nelle parole espresse, con grande chiarezza, da Fidel Valdez Ramos (ex presidente delle Filippine) durante un discorso tenuto nella città di Canberra presso la sede dell’Università nazionale australiana il 26 novembre 1998.
L’occasione era la relazione inaugurale sul tema “Democracy and the East Asian Crisis” tenutasi al Centre for Democratic Institutions. Il suo intervento, di cui si riporta uno stralcio, è a distanza di anni ancora di grande importanza per ciò che significa la democrazia. Egli affermò: «Sotto un regime dittatoriale la gente non deve pensare né scegliere, non deve prendere decisioni o dare il proprio assenso. Deve solo eseguire … Una democrazia, al contrario, non può sopravvivere senza virtù civica! … Oggi, la sfida politica che ci sta davanti in tutto il mondo non è solo quella di sostituire dei regimi autoritari con regimi democratici. È più di questo: è far funzionare la democrazia per la gente comune».
Se si rilegge il contenuto di questo ragionamento è facilmente comprensibile come nella società di oggi avvenga l’esatto contrario. E mano a mano che si scende dal governo nazionale a quello locale più si acquisisce la consapevolezza di trovarsi agli antipodi della democrazia. Le decisioni non sono assunte per andare incontro ai bisogni dei Cittadini, ma per soddisfare pruriti dei governanti che non hanno alcuna finalità se non quella di sperperare il denaro pubblico.
Questa cattiva abitudine nasce da un impellente bisogno da soddisfare: la visibilità. Erroneamente, è convinzione diffusa che essere persistentemente in primo piano faccia acquisire d’ufficio un certo potere. Ma quale vantaggio personale si ottiene ad apparire sui media quotidianamente?
Sicuramente, uno dei benefici è quello della conquista artificiosa di una credibilità immediata, che, immacabilmente, è poi smentita dai fatti. Quindi, spesso accade che la visibilità a lungo andare si traduca in un boomerang, perché il cittadino conosce perfettamente il personaggio politico al quale attribuire le colpe di tutto ciò che non funziona come dovrebbe.
Non è un caso, infatti, che quando le cose procedono bene senza attriti, la mancanza del ruolo strumentale della democrazia può anche non essere percepita. Emerge, però, con prepotenza quando, per una ragione o per l’altra, la situazione inizia a complicarsi. Ed è allora che gli incentivi politici forniti dalla forma di governo democratica acquistano un grande significato pratico.
Ad esempio, capita spesso che quando un politico matura la convinzione di rendere pubblica una notizia, lo fa per nasconderne un’altra dalle conseguenze ancora peggiori. Come sosteneva Francesco Guicciardini nel Cinquecento, si tratta di quelle decisioni prese nei corridoi del potere, che devono restare confinate dietro quella cortina fumogena che oppone il palazzo alla piazza. In altre parole, si realizza quel paradosso secondo il quale il popolo sa quello che fa chi governa, o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che si fanno in un posto sperduto nel mondo.
L’evidenza ha trasmesso involontariamente una pesante eredità: il potere è più difficile da conquistare che non conservare. E questo può costituire l’anello debole del sistema democratico, perché il consenso elettorale una volta esercitato non ha più alcuna possibilità di essere nuovamente verificato fino al termine della legislatura.
Ed è proprio durante questo lasso temporale che chi detiene il potere inizia a mettere le radici, riuscendo incredibilmente a calamitare vicino a sé il peggio della società civile, piuttosto che gli appartenenti alla classe elitaria del mondo culturale e intellettuale. Questo è il tumore della democrazia, che riesce a fondare la sua sopravvivenza sui leccapiedi e non sulle persone capaci e valorose. Ossia, sui “ben disposti” piuttosto che sui “predisposti”.
A tutto c’è però non solo un limite, ma anche un rimedio.
Infatti, il sistema può essere scardinato se si consentono e si incoraggiano discussioni aperte su ogni materia che impatta sulla collettività. Lo aveva già fatto osservare Vilfredo Pareto in un celebre passaggio del suo “Manuale di economia politica” (1906): «Se un certo provvedimento A sarà cagione della perdita di una lira ciascuno per mille uomini, e del guadagno di mille lire per un solo uomo, quest’uomo opererà con grande energia, quei mille uomini si difenderanno fiaccamente, onde è molto probabile che, infine, vincerà quell’uomo che, col provvedimento A, mira ad appropriarsi di mille lire».
Nel contesto attuale, il conseguimento di un interesse economico per effetto dell’influenza politica è un fenomeno assai diffuso. Riprendendo l’argomentazione trattata da Vilfredo Pareto, possono esserci mille persone i cui interessi sono lievemente danneggiati da una politica sfacciatamente favorevole a quelli di un solo uomo d’affari. Una volta, però, che la fattispecie sia compresa in modo chiaro, è più facile che si riesca a formare una maggioranza contraria alle sue egoistiche richieste. Questa dialettica si posiziona sul terreno ideale per impiantare una discussione pubblica delle tesi e controtesi di entrambe le parti, perché in una democrazia aperta, l’interesse collettivo potrebbe anche avere ottime probabilità di battere la difesa, per quanto esagitata, degli interessi consolidati di una lobby.
Articolo ripreso da ilfuturista.it