Detrarre i costi della consulenza finanziaria dalla dichiarazione dei redditi

Continua il dibattito sulla consulenza finanziaria e sulla necessità di chiarire il futuro della professione. Oggi pubblichiamo l’opinione di Luca Maino di Consultique, grande realtà della consulenza indipendente personalizzata a favore degli investitori.

“Caro Direttore,
quando partimmo con l’attività ormai 15 anni fa, avevamo ben presente la situazione del mercato USA dove la consulenza finanziaria e i fee only planners, presenti dalla metà degli anni ’70, sono il punto di riferimento per il 50% degli americani.

Fino al recepimento della MiFID nel 2007, in pochi anni nacquero diverse centinaia di studi professionali e società di consulenza remunerati a parcella e staccati da banche e reti commerciali, dedicati solo alla consulenza, prestazione intellettuale molto più vicina a quella degli avvocati o dei commercialisti piuttosto che a quella dei promotori finanziari.

Queste realtà si sono sviluppate ed hanno visto crescere il numero dei clienti dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, che il servizio di consulenza indipendente è apprezzato proprio perché slegato dalla vendita e dai potenziali conflitti di interesse che derivano da una remunerazione diversa dall’onorario versato solo e direttamente dal cliente al suo consulente.

L’Italia “decise” per l’Albo dei Consulenti Finanziari, i quali all’inizio rischiarono di essere eliminati con un tratto di penna, quando ci fu il tentativo di riservare la consulenza solo alle banche, sventato da NAFOP grazie ad un emendamento bipartisan votato all’unanimità in Commissione Finanze. A giugno 2008 tutto avrebbe dovuto essere stato risolto; ma quell’Albo non parti con scuse varie, tra cui la esilarante “mancanza di fondi”.

Siamo in linea con l’affermazione di Maurizio Bufi sulla separazione delle professioni ordinistiche, ma oggi il tema sul tavolo è la Casa della Consulenza dove noi dovremmo entrare come ospiti poco graditi, senza parlare dello spinosissimo tema della rappresentanza, in quanto anche l’uomo della strada percepirebbe come bizzarro un albo in cui i fee only fossero vigilati da banche e reti senza avere nessuna voce in capitolo. In generale, ma in particolare su questo tema, confidiamo nella saggezza della Professoressa Rabitti Bedogni che saprà certamente dare voce in maniera adeguata alla nostra categoria.

Sottoscriviamo pure la richiesta di Massimo Scolari sul non formulare giudizi negativi sulle varie modalità di servizio e che l’affermazione del proprio ruolo non deve basarsi su valutazioni sommarie del lavoro altrui. Il cliente deve poter scegliere e questo dibattito sui nomi degli advisor deve lasciare spazio alla sostanza: la distinzione tra indipendenza soggettiva ed oggettiva. Quest’ultima infatti è solo legata al servizio, mentre l’indipendenza soggettiva prevede che sia libero anche il professionista, pagato solo e direttamente dal cliente. Ecco perché ci chiamiamo consulenti “indipendenti”: la “nostra” indipendenza soggettiva prevista dalla legge è strutturale e rappresenta per il legislatore uno dei requisiti indispensabili per l’iscrizione al futuro Albo.

Il buonsenso suggerisce di lasciar fare al mercato, come giustamente osservato da Bufi: chi predilige una remunerazione a provvigione potrà continuare a distribuire fondi di fondi, pip e unit linked beneficiando di front fee e management fee, mentre per chi ama la consulenza ci sarà la possibilità di prestare il servizio a parcella e avviare collaborazioni con altri professionisti secondo un modello che richiede un sempre più stretto legame tra fee only e consulenti fiscali e legali.

Caro Direttore, per attirare i giovani è necessaria l’espansione della domanda di consulenza con nuovo risparmio e nuovi clienti e allora perché non concentrarci tutti su qualcosa di utile per i risparmiatori? A esempio, un tema interessante potrebbe essere il poter dedurre le parcelle di consulenza nella propria dichiarazione, abbattendo quindi il reddito imponibile della famiglie.

Fonte: advisoronline.it – Redazione