Un elefante che non puo’ sostenere il peso che e’ costretto a portare, questa la bella metafora di Ugo Arrigo per definire l’economia italiana. Ecco il resto del suo articolo:
Prima della serie di manovre estive di finanza pubblica la nostra economia era nei guai, dopo lo è molto di più:
- A seguito della crisi di fiducia sul debito pubblico il governo si è impegnato a conseguire il pareggio di bilancio nel 2013, colmando in un biennio circa quattro punti di Pil di disavanzo pubblico;
- L’operazione si verifica quasi integralmente attraverso aumenti di tasse.
- Conteggiando solo gli incrementi palesi delle imposte (e lasciando fuori gli aumenti dei tributi locali che saranno attuati per compensare i tagli nei trasferimenti dal governo centrale) la pressione fiscale, calcolata come rapporto tra il gettito atteso e il Pil, aumenterebbe di due punti percentuali.
- Calcolata invece come rapporto tra il gettito atteso e il solo Pil emerso, che il Centro Studi Confindustria stima nell’80% del Pil totale, aumenterebbe di due punti percentuali e mezzo passando dal 53% al 55,5%.
- Nessun paese al mondo ha una pressione fiscale così elevata, neppure i paesi scandinavi caratterizzati dai sistemi di welfare più estesi.
- Le entrate totali del settore pubblico arriverebbero, secondo le stime di Tito Boeri, al 49% del Pil nel 2014. Se rapportate al solo Pil emerso arriverebbero invece al 61% (sempre ipotizzando, irrealisticamente, che gli enti territoriali facciano fronte ai tagli dal governo centrale senza alcun incremento dei tributi locali).
Non servono grandi riflessioni aggiuntive per dimostrare che si sta andando nella direzione opposta a quella corretta. Il nostro paese era all’ottavo posto per pressione fiscale tra i paesi dell’attuale UE all’inizio del decennio 2000. Da allora tutti gli altri sette la hanno ridotta, alcuni anche in misura consistente, e cinque di essi sono scesi sotto quella italiana (con le eccezioni di Danimarca e Svezia). Questo processo si è ovviamente accentuato nel periodo della recessione. L’Italia è invece l’unico paese ad aver accresciuto la pressione fiscale, sia prima che durante la recessione (e ora, grazie alla serie estiva di manovre, anche dopo).
Per far comprendere l’insostenibilità della situazione anche ai non esperti di questioni economiche si può utilizzare una metafora ispirata da una vecchia canzone dello Zecchino d’Oro: l’ “elefante indiano con tutto il baldacchino” che la bimba che voleva un gatto nero era disponibile a scambiare è una buona rappresentazione del nostro affaticato paese: al livello inferiore il sistema produttivo, l’elefante stanco, sfiancato dal peso crescente e insostenibile del sovrastante settore pubblico, un baldacchino sovraffollato all’inverosimile da distributori di rendite (la classe politica) e cacciatori di rendite (i suoi clientes): corporazioni, portatori organizzati di interessi particolari, imprenditori di stato (ma anche caste e cricche).
Se utilizziamo questa metafora per svolgere confronti internazionali possiamo osservare tre differenti casi: 1) baldacchini grandi su elefanti grandi; 2) baldacchini piccoli su elefanti grandi; 3) baldacchini piccoli su elefanti piccoli. Il caso residuale di baldacchini grandi su elefanti piccoli non sembra proponibile e infatti è il modello (in crisi) adottato dall’Italia. Il primo caso (elefanti grandi e robusti che amano caricarsi baldacchini di grosse dimensioni) identifica i sistemi pubblici ‘pesanti’ che poggiano tuttavia su mercati sviluppati, come nell’area franco-tedesca e scandinava (che ha anche mercati molto liberalizzati); il secondo caso identifica paesi caratterizzati da stati snelli su mercati (almeno prima della crisi) robusti (Stati Uniti, UK e paesi sviluppati anglofoni in generale); il terzo caso paesi di taglia più ridotta (come nell’area est europea) che hanno preferito stati leggeri per non ostacolare il processo di crescita. L’Italia, infine, è l’unico caso tra i paesi maggiori di baldacchino grande su elefante piccolo, di settore pubblico con peso rilevante e crescente che grava su un sistema economico gravemente indebolito. Non è però sempre stato così: negli anni della ricostruzione e del boom economico l’elefante si è accresciuto più rapidamente del baldacchino; dopo, tuttavia, il nostro paese non ha adottato né il modello liberista (stato snello su economia di mercato sviluppata) né quello socialdemocratico (stato ampio su economia di mercato robusta) ed è l’unico ad aver creduto, erroneamente, che un settore pubblico di dimensioni tendenzialmente crescenti fosse praticabile indipendentemente dalle caratteristiche e dalle performance della sottostante economia di mercato: è il modello del baldacchino come variabile indipendente!
A causa di questo errore, che si manifesta attraverso una pressione fiscale crescente trainata da una crescente spesa pubblica, si è pervenuti in due occasioni, nei primi anni ’90 ed ora, a preoccupanti scricchiolii del sistema. Ora il baldacchino, il settore pubblico e la politica che lo amministra, scricchiola come nel 1993 ma per le conseguenze della grave recessione internazionale il sistema produttivo, l’elefante sottostante, scricchiola molto più di allora. La molteplice manovra estiva di Tremonti non fa che confermare il modello del baldacchino come variabile indipendente (che ricorda molto da vicino i privilegi delle classi non produttive prima della rivoluzione francese): se servono più risorse per le esigenze di chi sta sul baldacchino, è l’elefante che deve procurarle, indipendentemente da quale possa essere la sua robustezza e stato di salute.
E’ evidente che, in assenza di rapide correzioni di rotta, l’intero sistema è destinato a crollare. Serve allora un governo che sappia dire a tutti coloro che stanno sul baldacchino e non sono poveri e bisognosi: “signori, siamo arrivati alla fine della corsa, bisogna scendere”. E un governo di questo tipo non può, ovviamente, essere fatto da politici nati e cresciuti sul baldacchino e da esso mai scesi.
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