Oggi pubblichiamo soli articolo di grande spessore e questo di Gabrio Casati, per Linkiesta, rappresenta una voce con cui concordiamo in maniera totale. Raramente abbiamo letto qualcosa che ha convinto cosi’ chiaramente e senza alcun’dubbio. Una analisi che merita la Vostra lettura.
È veramente difficile impostare un ragionamento coerente a partire dalle migliaia di studi e di rumor delle “sale trading” delle banche che ogni giorno invadono i circuiti mediatici di un mercato in preda al panico (che come tutti i fenomeni irrazionali o è frutto di comportamenti disfunzionali e dunque vai dallo psicanalista; oppure di un ritardo nella crescita della coscienza, vai a lavorare in miniera). Adesso dobbiamo anche sorbirci le considerazioni storico-politiche di un ufficio studi e la modellizzazione dei costi sociali di un’ipotetica secessione dall’UEM, l’Unione Economica e Monetaria dell’Unione Europea. Ufficio studi di Ubs a quanto ci dice Fabrizio Goria, la stessa Banca ormai in grande familiarità con l’Fbi e il Dipartimento di Giustizia americano per frode fiscale ai danni del Governo federale di là.
Ci si lasci dire sommessamente che questa storia della volontaria partizione dell’euro ci pare una gigantesca sciocchezza.
Per molti ordini di motivi. A Bruxelles, per fare qualsiasi cosa, anche emettere un atto normativo minore, ci vuole una base giuridica. La base giuridica per sbattere fuori dalla porta o accompagnarsi da soli alla porta dell’euro oggi non c’è. Per crearla ci vuole un emendamento ai Testi Istitutivi dell’Unione e di quella cooperazione rafforzata anomala che è l’euro. Per farlo va convocata un Conferenza Intergovernativa o trovare altra strada all’interno dei limiti posti dai Trattati stessi. Una volta che ipoteticamente la Cig avesse approvato un testo emendato, tale testo andrebbe sottoposto a referendum popolare in molti Paesi membri (ricordate il referendum irlandese? Quei poveretti li hanno fatti votare 50 volte finché non hanno votato correttamente). Politicamente tutta questa trafila è un’assurdità, è insostenibile. È per questo che Angela Merkel proclama la natura non divina e immutabile dei Trattati.
Eliminare la Grecia, poi il Portogallo e via fino all’Italia non risolve il problema di questi paesi, né dell’euro. Le banche greche dovranno continuare a finanziarsi e il Governo a servire il debito, dunque cosa si fa: li si lascia da soli a morire di fianco al pianerottolo? Ah già c’è la questione del ritorno alla dracma che pomperebbe le esportazioni greche e farebbe ripartire l’economia. Giusto in teoria, in pratica privo di senso. Quante merci greche avete comprato negli ultimi 25 anni? Per tacere poi di quanto sia sostenibile il modello cinese/tedesco di crescita via esportazioni. Eliminare i meridionali caciaroni e inetti (e anche l’Italia è tra questi, visto che è bastata una settimana di acquisti della Bce che l’intero Paese è tornato a stravaccarsi al mare a godersi il “nostro bel sole”, dimenticandosi di tutto), non risolverebbe nemmeno il problema dell’euro, perché non avrebbe senso continuare a chiamarlo euro se non per mera comodità linguistica. Non avremmo più una moneta unica, ma un nuovo Marco allargato alla sua storica area di influenza con l’aggiunta, se la Francia dovesse sopravvivere, del Franco. Ve la immaginate Parigi da sola con i Germanici d’Europa? Noi abbiamo qualche difficoltà (chiedere al professor Sapelli).
Espellere anche solo la Grecia significa ammettere (e forse sarebbe il caso di farlo) che i piani di salvataggio definiti dal marzo del 2010 a oggi non hanno funzionato. Quindi non funzioneranno nemmeno quelli di Portogallo e Irlanda, che sarebbero conseguentemente anch’essi insolventi. La Grecia sarebbe cosi’ automaticamente seguita da almeno altri 2 Stati membri. Prendi tre e paghi uno, e niente saldi in euro please, è morto.
Il Governo della Repubblica Federale è fermamente intenzionato a fare tutto ciò che si può per preservare la moneta unica.
Con due limiti essenziali, però: a) non ha nessuna idea di come fare; b) non arriverà mai (giustamente) a sacrificare il proprio paese per salvare i paesi periferici, perché di questi ultimi non si fida (voi nei suoi panni vi fidereste del Governo italiano?). Berlino farà di tutto per salvare l’euro, ma non ha intenzione di ritrovarsi nella condizione del terzetto Lombardia – Veneto – Emilia, inchiodato senza poter fiatare all’obbligo di pagare le belle vacche bolzanine, i debiti del Comune di Roma, quelli della sanità del Lazio, le “emergenze perenni” di Napoli, le orde di forestali calabresi e le prebende medioevali dell’Amministrazione siciliana. Come dargli torto?
Se l’euro si spacca, si spacca per forze esogene, non endogene. E se si spacca le cause essenziali sono politiche e solo in seconda istanza tecnico-finanziarie. Lasciamo a Fabrizio Goria le discussioni sulle condizioni di sostenibilità delle aeree monetarie non ottimali, noi ci prendiamo, brevemente, le prime cause.
Questa crisi è molteplice. Fino al pieno coinvolgimento di Spagna e Italia aveva tutta l’aria di una crisi bancario-finanziaria che diventava di solvibilità in quanto le banche stesse erano piene di titoli di Stato. Dopo, pur mantenendo le originarie caratteristiche, è pienamente evoluta in una crisi dell’architettura istituzionale complessiva dell’Unione Europea e di legittimità della sua azione. Il primo Consiglio Europeo dedicato alla crisi greca è del febbraio-marzo dell’anno scorso. In questi 18 mesi il “contagio” si è pienamente sviluppato perché non esiste un’Istituzione capace di porsi come centro di comando politico della moneta. La Commissione è evaporata, il Parlamento Europeo non ha mai trovato la strada che conduce alla dignità istituzionale, l’Ecofin è inefficace e anche il Consiglio Europeo (il vertice dei Capi di Stato e di Governo) si è perso in chiacchiere e mille voci, fraintendimenti e marce indietro. In questi 18 mesi Berlino ha esercitato una leadership francamente inconcludente, alle volte confusa, alle volte velleitaria. Non è rimasto nulla, se non la Banca Centrale, che si è dovuta fare carico di compiti e comportamenti obiettivamente fuori dal suo mandato.
A questo si aggiunge un altro elemento decisivo che spiega l’acuirsi della crisi e la latitanza che ancora permane di soluzioni reali: la crisi del concetto di solidarietà. Dato che il senso politico dell’Integrazione europea – e il vantaggio conseguentemente percepito dai cittadini – si è smarrito fino almeno dalla triste fine del Trattato di Amsterdam (1997), l’Unione Europea non ha più un reale substrato di legittimità che la sostenga. Pertanto, ogni appello alla solidarietà (vedasi in merito l’articolo di Del Re) trova orecchie diffidenti nei pagatori. Diffidenti, non ostili. In fondo Gideon Rachman sul Financial Times di ieri urlava a Frau Merkel di restare attaccata al suo borsellino. L’Unione Europea, come l’Istituzione parlamentare, – esattamente quanto la delega politica o la rappresentanza – è figlia di un’epoca che non c’è più, di rapporti di forza che sono stati ribaltati, di condizioni politiche che non si sono più ripetute, né mai più si ripeteranno. L’Unione va rifondata su un patto politico nuovo, attuale, coerente. E l’euro tornerà ad avere un senso e dunque vita. Ma chi è in grado oggi di ripensare così profondamente la politica e il senso dei processi collettivi? Rivoluzionari cercansi.
Un’ultima cosa: se dopodomani l’euro fallisse e l’Europa renana e nordica tornasse a una sorta di nuova area del Marco, quanto credete durerebbe ancora la finanza italiana? Quante decine di minuti, vogliamo dire? E quanto potrebbe reggere l’Unità territoriale e politica dell’Italia? Per quanto il Nord del paese potrebbe tollerare di essere risucchiato nel Mediterraneo a fronteggiare gli appetiti sempre più voraci dei suoi numerosi famigli insulari e peninsulari, quando disporrebbe dei numeri per accomodarsi più tranquillamente dell’area del Marco? Se l’euro si dissolvesse – ha pienamente ragione Angela Merkel – si dissolverebbe l’Unione europea e la Storia tornerebbe prepotente a lavorare sulla carta d’Europa.
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