Gli interessi sugli interessi tornano ad essere legali. Nonostante numerose sentenze della Cassazione e della Corte Costituzionale, l’anatocismo (questo il termine giuridico che identifica la formazione di interessi su altri interessi non ancora pagati) rientra nell’ordinamento italiano.
E, ovviamente, ci ritorna da “orfano”. Analogamente a quanto già accaduto con l’immunità, il governo ha infatti disconosciuto la paternità dell’emendamento che ha reintrodotto l’odiosa pratica ufficialmente dichiarata incostituzionale dalla Consulta nel 2000.
La norma è stata inserita nel decreto “competitività” di competenza del ministero dello Sviluppo economico che però si è ben guardato da qualunque assunzione di responsabilità in merito, scaricando il barile sul ministero dell’Economia.
Illuminanti le parole del presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (PD) che ammette di non sapere chi ha voluto la reintroduzione dell’anatocismo: “So che sembra incredibile, ma non è chiaro. Sono decreti mostruosi, dove viene infilato di tutto”.
E la cosa incredibile è che Boccia ha ragione: il decreto competitività, come quello sulla PA e altri che hanno caratterizzato l’attività di questo governo, è un decreto omnibus nel quale sono confluiti emendamenti delle più svariate materie. Difficile, se non impossibile, effettuare un controllo serrato su tutto.
Nello specifico, la pratica dell’anatocismo, introdotta dal codice civile del 1942 e rimasta in vigore fino alla succitata sentenza della Corte Costituzionale, consiste nella capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinché essi siano a loro volta produttivi di altri interessi. In sostanza, fino al 2000, se un correntista chiedeva un prestito ad una banca, gli interessi sulla somma ottenuta venivano a loro volta sommati ogni tre mesi per calcolare nuovi interessi. In questo modo i soldi da restituire aumentavano in modo esponenziale.
La norma era concepita per favorire il sistema bancario e le pressioni per una sua reintroduzione, peraltro contraria al dettato della Consulta, sono probabilmente arrivate da quell’ambiente, come ammettono fonti vicine a Palazzo Chigi: “Di sicuro la norma viene da Bankitalia e dipartimento del Tesoro, un favore clamoroso su pressione delle banche”. Immediata la reazione dei consumatori che, tramite l’associazione ADUSBEF (ma protestano anche le altre), hanno già annunciato ricorso contro “l’ennesimo regalo alle banche”.
Il ministro Guidi – Al netto delle pressioni e delle lobbies, resta tuttavia la figura tutt’altro che autorevole fatta dal ministro Guidi. Una persona, l’abbiamo già scritto, non adeguata a stare al vertice del dicastero per lo Sviluppo, non tanto dal punto di vista del curriculum ma piuttosto per quanto concerne le svariate attività imprenditoriali della famiglia. Il padre Guidalberto Guidi, ad esempio, è il presidente della Ducati Energia, di cui Federica è stata vicepresidente fino al febbraio scorso. Ma non solo: la 45enne Guidi è stata anche vicepresidente di Confindustria e ha ricoperto ruoli di vertice in numerose società controllate dalla famiglia. Società che, è bene ricordarlo, partecipano ad appalti pubblici ed intrattengono importanti relazioni commerciali con le aziende di proprietà statale. Può bastare per gridare al conflitto di interessi?
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