Dopo tre mesi di prigionia, l’ostaggio è finalmente libero. La Corte costituzionale tedesca ha stabilito che il fiscal compact europeo e il nuovo fondo salva-Stati Esm (European stability mechanism) non sono in contrasto con le leggi della Germania. Possono dunque entrare in vigore. Il via libero non è però senza condizioni: la sentenza degli otto giudici impone che la partecipazione di Berlino all’Esm si limiti ai 190 miliardi di euro già stanziati dal governo di Angela Merkel.
Ogni contributo ulteriore dovrà essere approvato dal Bundestag (la Camera bassa del Parlamento), previa consultazione del Bundesrat (il Consiglio federale). Entrambi gli organi dovranno poi essere costantemente informati sull’attività del Fondo, che inizierà l’8 ottobre con la riunione inaugurale, come annunciato dal presidente dell’Eurogruppo, Jean Claude Juncker.
La Corte di Karlsruhe ha quindi respinto nella sostanza il ricorso presentato a luglio da una sfilza di cittadini, accademici e parlamentari tedeschi (alcuni dei quali militano nello stesso partito della cancelliera). Secondo i detrattori, l’Esm avrebbe affidato ad autorità non elette, come la Bce e la Commissione europea, la gestione di risorse prodotte dai contribuenti tedeschi. Da bravi salomoni, i giudici hanno evitato di mandare all’aria l’intero disegno europeo e allo stesso tempo, con quel paletto finale, hanno placato i timori dei connazionali: il Fondo non potrà costare più di quanto previsto. Il rischio è controllato.
L’Esm è stato concepito al Consiglio europeo di fine giugno e il progetto era di renderlo operativo entro luglio, dopo la ratifica dei parlamenti nazionali. Il ricorso tedesco ha fatto slittare tutto, esponendo i mercati a un vortice di speculazione estiva che per fortuna non si è scatenato.
Ma cosa sarebbe successo se da Karlsruhe fosse arrivato un “nein”? Oltre a sconfessare clamorosamente, e in piena campagna elettorale, una decisione già presa dal governo tedesco, i giudici avrebbero affossato l’intero continente. Con l’addio all’Esm, l’Europa sarebbe stata scippata all’improvviso dello strumento più potente mai allestito contro la speculazione. La fiducia dei mercati sarebbe finita sotto lo zero, così come la credibilità dei capi di Stato e di governo, incapaci per l’ennesima volta di mantenere gli impegni presi.
A scongiurare in parte questo scenario, in realtà, ci aveva già pensato Mario Draghi. La settimana scorsa il Presidente della Bce aveva stretto una morsa intorno al collo dei tedeschi con il nuovo scudo antispread. In sostanza, l’Eurotower si è impegnata ad abbassare i differenziali acquistando “senza limiti ex ante” titoli di Stato sul mercato secondario.
Per beneficiarne, tuttavia, i Paesi in crisi dovranno prima negoziare un piano d’aiuti con il futuro Esm oppure – ed ecco il colpo di genio – con l’Efsf, il fondo già attivo. Una postilla che ha scaricato la pistola in mano ai giudici tedeschi: in caso di bocciatura dell’Esm, Bruxelles avrebbe potuto allungare la vita dell’Efsf, delegando alla Bce e al Fmi le funzioni del fondo mai nato. Draghi è arrivato a questo risultato isolando nel board dell’Eurotower il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che è stato l’unico a votare contro lo scudo. Ora, con la sentenza di Karlsruhe, la vittoria del banchiere italiano è completa.
Il verdetto segna anche un importante successo di Angela Merkel contro i falchi che infestano la sua maggioranza. Dopo aver spalleggiato l’operazione di Draghi, ieri la cancelliera ha accolto positivamente il via libera dei giudici: “Oggi è una buona giornata per l’Europa – ha detto – la Germania lancia un segnale forte e si assume le sue responsabilità”. Fino a ieri regina del rigorismo più ottuso, a questo punto frau Merkel rischia di essere ricordata come la statista che ha salvato l’euro. Paradossi della storia.
Nel frattempo, i mercati festeggiano. Non tanto quelli azionari, che avevano già assorbito l’esito di una decisione data per scontata (Milano è stata la migliore con un +1,19%), quanto quelli obbligazionari. Lo spread fra Btp e Bund è sceso fino a 341 punti base, con rendimenti sui bond decennali al 5%. Felice l’intuizione del Tesoro italiano, che ha deciso di mettere in asta proprio ieri Bot a tre mesi e a un anno per complessivi 12 miliardi. Il risultato è stato più che positivo: domanda buona e tassi d’interesse in calo. Ecco perché non c’è da stupirsi che il premier Mario Monti abbia accolto la sentenza tedesca con il massimo dell’entusiasmo concesso ai professori.
Articolo ripreso dal sito altrenotizie.org