E sara’ anche molto piu’ difficile perche’, come giustamente indicato nell’articolo sottostante, la diffidenza instillata nel consumatore negli ultimi 4 anni non scomparira’ tanto facilmente. Cosi’ come non e’ un caso che siamo il paese con il minor rapporto percentuale tra investimenti a reddito fisso e investimento azionario, il che tradotto significa: gli italiani non comprano azioni. E quindi le banche hanno un altro bel problema 🙂 Ma concentriamoci sull’articolo
Questo è il caso delle banche italiane ‘troppo’ domestiche per non subire gli effetti della crisi e del rallentamento del mercato interno sulle attività rivolte alle famiglie (meno mutui, più sofferenze), alle imprese (minore appetito al rischio e anche qui sofferenze ancora in crescita), al risparmio gestito in continua erosione sull’altare dell’emissioni obbligazionarie delle banche collocate agli sportelli. Non si vede alcun comparto dell’attività bancaria con prospettive di crescita e qualsiasi banca abbia provato a spingere sull’acceleratore dei ricavi sembra avere pagato un prezzo alto sul fronte delle sofferenze. E dunque le banche italiane già finite nella trappola della liquidità che le sta costringendo a frenare nell’attività di intermediazione sino a quando il circuito interbancario sarà riattivato, stanno per finire in una trappola di redditività che potrebbe penalizzare ulteriormente le performance di Borsa, la capitalizzazione e la vulnerabilità ad attacchi di banche estere.
Dimenticando per un attimo che eventuali interventi dello Stato in aiuto delle banche implicherebbero una ristrutturazione delle banche stesse anche se i vertici delle banche italiane riuscissero a rimanere in sella in questa tribolata fine del 2011 si troveranno nel 2012 a guidare macchine appesantite dai costi di capitale, poco efficienti (il cost/income rimane troppo alto), piene di crediti incagliati e senza grandi idee su nuovi servizi e nuove aree di profitto. Il taglio dei costi, già ampiamente praticato sul personale con accordi sindacali e cessioni dei rami d’azienda operativi, produce benefici ritardati nel tempo, ma anche grande disaffezione nel personale bancario che è sinonimo di calo della qualità. Un labirinto dal quale è difficilissimo uscire. Fa eccezione oggi solo Matteo Arpe che proponendosi al vertice della BPM come cavaliere bianco, ritiene di afferrare una grande opportunità aumentando i ricavi senza ridurre il personale. Messe alle strette da conti economici che se non piangono di certo non brillano le banche stanno sfoderando una grinta senza precedenti nella revisione all’insù dei prezzi ai clienti esistenti, in parte per ragioni di trasferimento dei costi (il funding) in parte per puro desiderio di ricostituzione dei profitti (le commissioni e gli spread).
Questa analisi e previsione non si limita a Unicredit, Intesa, MPS, UBI e Banco Popolare. Tutte le altre banche e a maggior ragione quelle minori stanno subendo chi più chi meno un’erosione dei margini che viene spesso camuffata da cosmetica nei bilanci, proventi straordinari, ma si indebolisce nella componente del core business. Chi per problemi di liquidità, chi per problemi di carico del portafoglio crediti deteriorato tutti guardano al 2012 con grande timore e poche certezze.
Verrebbe da dire che quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare e che sarebbe possibile pensare ad un sistema bancario meno fotocopia, meno monolitico e più creativo nella ricostituzione dei margini. Se devo giudicare i piani industriali che sono stati sin qui presentati non si vede nessun elemento che faccia pensare quantomeno alla voglia di sperimentare approcci coraggiosi. Se parliamo di piccole e medie imprese gli investimenti sono quasi inesistenti, i modelli organizzativi scontati e poco graditi alla clientela, il processo di credito più timoroso che cauto, il sostegno alle nuove iniziative ancora basato su garanzie reali e personali.
Sembra essere la fine di un lungo, lunghissimo ciclo in cui fare banca era abbastanza facile, in cui i bilanci erano pingui come i dividendi distribuiti, in cui i CEO bancari giravano sorridenti. Ora il settore subisce un rancore e un’ostilità pericoloso dalla pubblica opinione che non è più disposta a perdonare nulla e si deve preparare ad un lungo periodo di ripensamento e di ricostruzione del proprio modo di stare sul mercato, un processo faticoso che potrebbe richiedere anche un profondo ricambio generazionale.