Superati gli ultimi dubbi sulla necessità di dare anche una spinta sul credito per riaccendere i motori delle imprese italiane – e sottolineo ‘anche‘ perché il credito non è la principale medicina, ma solo un ricostituente-, chiarito che il sistema bancario non è autonomamente in grado di riattivare il circuito del credito su una fascia molto ampia di piccole imprese, spostiamo il tiro sulle possibili iniziative.
Al momento sul tavolo di chi discute di credito ci sono 3 carte:
1) un circuito di finanziamenti alternativo alle banche. Che si tratti dei mini-bond (grandi perplessità) e di fondi specializzati in finanziamenti alle imprese non vedo neppure lontanamente la necessaria massa critica e la velocità che occorrono per rimpiazzare 40-50 miliardi di credito tolto dal sistema bancario al sistema imprese negli ultimi 18 mesi.
2) la cartolarizzazione di grandi portafogli di crediti alle PMI è una buona opzione, soprattutto se sostenuta di forza dalla BCE. E’ un sistema dormiente, o meglio attivo silenziosamente, di advisor e banche d’affari che possono riattivare questo circuito e fare profitti incanalando fondi verso le banche con destinazione finanza per le PMI, sul presupposto che portafogli molto granulari e strati di garanzia sulla first-loss del portafoglio, realizzano condizioni di reale diversificazione del rischio e appetibilità per investitori e per la stessa BCE.
3) infine si è tornato a parlare di un uso ‘allargato’ del Fondo di Garanzia del Ministero dello Sviluppo, noto come ’662′. Qesta direzione conferma di per sé tutto quanto ho scritto in passato (molti post) sull’uso inefficiente e limitato della garanzia dello stato per concedere finanziamenti alle PMI. Andiamo in dettaglio.
Primo punto è quello che ha detto il nuovo Ministro Zanonato, riportato così dal Sole24Ore:
Del problema del credito ho parlato con il presidente della Cassa depositi e prestiti, Franco Bassanini, e ci rivedremo domani (oggi per chi legge, ndr) per condividere un percorso comune. Che cosa potrà fare in concreto la Cassa? Con Cdp si può lavorare per ampliare lo spazio relativo al pagamento dei debiti di parte corrente della Pa e vedere se è possibile aiutare le imprese con meccanismi specifici per il credito, ad esempio per supportare l’internazionalizzazione. Si può partire dagli indirizzi già delineati dal presidente della Bce, Mario Draghi, e in generale si può fare di più con i fondi di garanzia. Stiamo lavorando con il ministero dell’Economia per allentare i criteri di accesso al Fondo centrale di garanzia per le Pmi del Mise, estendendo la fascia di imprese che possono beneficiare dello strumento anche a quelle che, per quanto con buone prospettive, si trovano in una situazione di temporanea difficoltà finanziaria che ne rende difficile la bancabilità.
Aggiungiamo il fatto che il semplice potenziamento dei mezzi di dotazione del Fondo di Garanzia non ha affatto procurato quei 20 miliardi di nuovo credito promessi dal ministro Passera, dei quali non c’è traccia né nelle statistiche sugli impieghi bancari, né nelle statistiche dello stesso Fondo che sono incredibilmente ancora ferme al maggio 2012 (non proprio opendata caro Ministro!) che riportano solo 2,6 miliardi di operazioni accolte in 5 mesi con garanzie per 1,3 mld.
Sembra che si siano accorti di uno dei due problemi del Fondo, quello da me sempre sottolineato, che la garanzia non viene data alle imprese che vogliono/possono ristrutturarsi, ma solo a imprese sane. Il secondo problema, sempre sottaciuto, è che le garanzie vengono usate dalle banche ampiamente per ridurre l’uso del capitale su vecchi e nuovi finanziamenti a imprese che potrebbero fare benissimo a meno della garanzia statale. In pratica succede che al rinnovo dei fidi la banca chieda all’impresa di aggiungere la garanzia del Fondo e così sullo stesso importo di credito risparmia dal 50% all’80% del capitale. Visti gli spazi disponibili si può dire che questo uso improprio non ha sottratto risorse pubbliche, le ha solo convogliate nel posto sbagliato. E provo a spiegarmi con un disegno
Attualmente il Fondo di Garanzia copre due fasce e tipologie di PMI: meritoriamente le startup che tuttora non attirano le attenzioni delle banche per l’assenza di tre bilanci e che ottengono credito grazie alla garanzia del Fondo. Gran parte delle garanzie si indirizzano, a prescindere dalle dimensioni, su una fascia di imprese che la banca giudica più rischiose della media (e quindi consumano capitale) ma non ancora così rischiose da prevedere una ritirata dei fidi.
Nulla si può ottenere oggi sulla terza fascia, rappresentata dall’area arancione, che è in grande espansione a causa della crisi e avrebbe bisogno di maggiore coraggio da parte delle banche con vere e proprie operazioni di ristrutturazione anche per le piccole e piccolissime dimensioni. Questa dovrebbe essere la fascia a cui fa riferimento il ministro Zanonato: l’intervento di garanzia dello Stato avrebbe il grande merito di innescare decisioni più coraggiose (e forse anche lungimiranti) da parte delle banche senza le quali la traiettoria rossa continuerebbe portando a fallimenti e concordati, che lasciano profonde ferite nei bilanci delle banche e di altre imprese (i fornitori). Estendere la garanzia sui piani di ristrutturazione può invece avviare il processo inverso spostando il destino della piccola impresa sulla traiettoria verde. Questo oggi non c’è, non è previsto dal Fondo e la sua mancanza si sente.
Unico problema evitare di trasformare la garanzia in una sorta di aiuto di Stato a imprese in crisi irreversibile, vietato dalle regole comunitarie. Per evitarlo basta poco: offrire la garanzia solo nei casi in cui la reversibilità o temporaneità della crisi sia certificata da un piano serio, attestato dalle figure professionali che prevede già la legge fallimentare. Una verifica che i tecnici del Fondo potrebbero benissimo assumersi. E se proprio lo Stato crede in questo processo di rigenerazione delle imprese, potrebbe offrire non solo la garanzia, ma anche un contributo parziale ai costi di ristrutturazione che a volte impediscono proprio alla piccola impresa di mettersi in una cura seria, una cura che implica sempre costi da parte dei professionisti che hanno le competenze per farla. Garanzia e controllo di qualità potrebbero fare una grande differenza, speriamo che il ministro sia dello stesso parere.