I fondi di investimento hanno fama di inefficienza, alcuni risparmiatori li fuggono come se si trattasse della peste; eppure abbiamo visto che sono essi stessi tra le vittime: una buona parte della cattiva fama di cui godono è dovuta a scelte di timing errate, come ricordava anche Alberto Foa quando era a capo di Anima Sgr.
Vale sempre l’idea che si può e si deve migliorare la qualità di un prodotto e quindi anche i collocatori di fondi comuni devono aspirare a migliorare i propri, ma se il timing è la pistola fumante che crea vittime tra i risparmiatori, chi è che preme il grilletto? Qualunque esperto di gialli ci dirà che per scoprire l’assassino è necessario scoprire il movente. E chi può essere a spingere un risparmiatore a comportarsi in questo modo?
Uno dei meccanismi fondamentali di queste decisioni, come ci insegna la finanza comportamentale, è quello psicologico: si vuole comprare quando le performance ci sono già state per paura di perdere il treno, si scappa quando le cose vanno male per paura che vadano pure peggio.
Ma c’è chi alimenta queste tendenze, per il proprio tornaconto: è facile vendere le performance (passate!) di uno strumento finanziario quando tutto va bene, è facilissimo terrorizzare i risparmiatori quando vanno male spingendoli a “mettere al sicuro quello che è rimasto”; è ancora più facile quando il proprio datore di lavoro ha necessità di fare raccolta diretta per rispettare le norme sul patrimonio di vigilanza e quindi si smontano fondi e gestioni patrimoniali per collocare obbligazioni della banca (o depositi vincolati che le utilizzano come sottostante). Eccolo il nostro killer, il nodo gordiano della distribuzione di fondi comuni in Italia: i primi a non avere la cultura dei fondi comuni sono le banche e gli operatori del settore che li collocano in modo improprio.
Proprio in questi giorni ho letto una notizia esemplare, in questo senso. Per ovviare al desiderio di sicurezza dei risparmiatori, si moltiplica l’offerta di fondi a cedola fissa: Gestielle ha raccolto 900 mln. € in dieci giorni su un fondo che offre una cedola del 2% semestrale; a pagina 6 il documento di offerta riporta questa affermazione “l’importo da distribuire potrà anche essere superiore al risultato di gestione del Fondo (variazione del valore della quota); in tal caso, la distribuzione rappresenterà un rimborso parziale del valore delle quote”, quindi la cedola potrebbe essere in parte o totalmente composta da capitale. La domanda sorge spontanea: quanti tra i sottoscrittori dei 900 milioni conoscono questa clausola e ne hanno compreso il senso?
Se in paesi molto più evoluti di noi in quanto ad educazione finanziaria e a conoscenza dello strumento, riscuote successo e raccoglie le adesioni dei risparmiatori, il risparmiatore italiano che cerca uno strumento che gli permetta di proteggere il proprio risparmio grazie alla diversificazione può utilizzare i fondi comuni d’investimento con serenità.
La questione è trovare chi lo collochi in modo adeguato, nel rispetto dell’asset allocation e della pianificazione finanziaria del cliente e che consideri strategico l’utilizzo di questo strumento: si tratta ancora di una minoranza, ma basta cercare.
Articolo di Stefano Lovato, tratto dal blog Il Globalista