Il Giappone rappresenta lo stato più avanzato nell’utilizzo dei Bitcoin

“Quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento”. Una delle citazioni più calzanti quando si parla di Bitcoin e regolamentazione.

Il Giappone ha capito che dare modo al mondo del Bitcoin di autoregolamentarsi è la soluzione più efficace e vantaggiosa per tutti.

Come ha sostenuto l’ormai celebre “bitcoin evangelist” Andreas Antonopoulos di fronte alla commissione del Senato canadese la regolamentazione del Bitcoin dovrebbe essere separata da quella di banche ed istituti centralizzati, dal momento che si tratta di due modelli completamente diversi se non opposti. E prima che il Canada potesse seguire il consiglio il Giappone ha deciso di metterlo in pratica, istituendo la JADA – Japan Authority of Digital Asset -, un ente che nelle intenzioni del governo dovrà stabilire standard, codici etici e procedure da seguire per i suoi membri.

La JADA, nata in seguito all’iniziativa del parlamentare Mineyuki Fukuda in quota al partito liberal-democratico attualmente al governo, include soggetti della commissione IT da lui presieduta nonché membri della community operanti nel settore del Bitcoin. Tra questi vanno ricordati dirigenti dell’exchange Kraken, a cui la JADA ha chiesto di giocare un ruolo chiave nella propria organizzazione.

Pur essendo nata su iniziativa del governo, quest’ultimo ha ufficialmente dichiarato che non intende portare avanti leggi che regolamentino il Bitcoin, preferendo che questa tecnologia nascente maturi e trovi da sola la strada per auto-regolamentarsi. Per ottenere ciò la JADA proporrà linee guida e “monitorerà in maniera soft” i propri membri, senza bisogno di creare leggi apposite. La cosa sembra paradossale, in particolare per il Paese che ha visto sul proprio suolo uno dei più gravi scandali che ha colpito il mondo del Bitcoin, ovvero il crack di Mt.Gox. Tuttavia i rischi di una “over-regulation” sono dietro l’angolo ed il Giappone – come il Canada – sta dimostrando di non voler rinunciare alle potenzialità enormi che questa nuova tecnologia porta con sé.

Riguardo il rischio di una ”over-regulation” del settore riporto l’esempio fatto da Stefano Capaccioli sul proprio blog CoinLex. Egli riporta l’esperienza del Locomotive Act – noto anche come Red Flag Act – promosso dal governo inglese nel 1865. Dal momento che all’epoca il governo aveva interesse a che la gente utilizzasse le ferrovie al posto delle autovetture su strada promulgò questo atto che:

  • Regolò il limite di velocità a 4 mph (6 km/h) nelle campagne e a 2 mph (3 km/h) nelle città.
  • Stabilì che le autovetture dovessero essere accompagnate da un gruppo di tre persone: un autista, un fuochista e un uomo con una bandiera rossa (da cui il nome Red Flag Act) che doveva camminare per 60 iarde (55 metri) davanti a ogni veicolo. L’uomo con la bandiera rossa (o in alternativa una lanterna) costringeva il veicolo a mantenere un’andatura a passo d’uomo (che è di appunto 6 km/h) e aveva il compito di avvisare coloro che andavano a cavallo del passaggio di un autoveicolo.

Inutile dire che tali limitazioni bloccarono lo sviluppo dell’industria automobilistica inglese – con danni economici facilmente immaginabili – almeno fino alla fine dell’800, quando su pressione degli appassionati di macchine a motore le restrizioni vennero alleggerite o del tutto abolite.

Di fronte al rischio quindi che vengano approvate leggi inutili o controproducenti – come BitLicense – che favoriscano lo status quo ostacolando l’innovazione – a vantaggio di chi lucra sulle inefficienze del sistema attuale – il Giappone ha deciso per lasciare le mani libere ai bitcoiners. D’altra parte, con un debito pubblico pari al 236% del PIL ed una banca centrale – la BOJ – che negli ultimi anni stampa moneta come se non ci fosse un domani, il Giappone forse sta cominciando a rendersi conto che un piano “B” è sempre più necessario.

La JADA al momento è ancora in fase embrionale e verrà lanciata ufficialmente il mese prossimo.

 

Articolo ripreso dal sito bitcoinita.it