Gli investitori istituzionali sono scappati molto tempo fa e torneranno solo quando gli aggrada

Il rientro in Italia degli investitori istituzionali

Tutto è possibile negli assurdi mercati finanziari di oggi, ma la goffa corsa delle banche a richiamare sul mercato del credito alle imprese italiane quegli stessi investitori istituzionali che sono stati allontanati per 30-40 anni è una operazione perdente in partenza, almeno alle attuali condizioni.

Penso ai tentativi di sostituire il credito che le banche non vogliono più erogare (o in parte non possono dovendo inseguire ratio patrimoniali con una raffica di aumenti di capitale) con il credito erogato da fondi specializzati e ora anche da assicurazioni e fondi pensione.  Proprio gli stessi operatori del risparmio che sono stati volutamente tenuti alla larga dal grasso (?) recinto del credito con una combinazione di divieti, regole proibitive e barriere all’entrata poste dal sistema bancario, che ha tagliato la strada qualsiasi concorrente incluso un modello di pricing che nel tempo si è rivelato prima sbagliato poi nefasto (insufficiente a coprire le sofferenze). Devo ricordare che fino al 2008 gli spread praticati sui mutui a medio-lungo termine alle imprese dal sistema bancario si aggiravano intorno all’1%, in molti casi persino sotto. E con quell’1% si pensava di coprire il costo del rischio, di perdite attese e inattese su orizzonte 5-10 anni? Un caso macroscopico di mispricing che è stato poi progressivamente corretto utilizzando come alibi l’aumento del costo di raccolta (lo spread BTP-Bund) nel periodo 2010-2013.

Adesso che le banche hanno il fiato corto tutti (governo, associazioni) si adoperano per richiamare nel recinto quei buoi che sono stati allontanati; ecco quindi arrivare a rate i decreti legge con la (buona) normativa per i minibond e nell’ultimo decreto legge l’apertura cauta alle assicurazioni e ai fondi pensioni, ai quali peraltro viene detto ‘Voi non siete capaci di fare credito, quindi fatevi aiutare dalle banche nella selezione’. Curioso, farsi aiutare da chi oggi nei bilanci ha vistose cicatrici (incagli e sofferenze) che dimostrano quanto poco ci abbia capito del rischio con o senza sistema di rating interno. Perché mai le assicurazioni dovrebbero farsi aiutare dalle banche invece di comprarsi buoni analisti ed esperti d’impresa se vogliono investire in questa classe di rischio? Non gli mancano i mezzi per farlo, credo.

Gli investitori istituzionali non sono ingenui

Nella richiamata alle armi degli investitori istituzionali ci sono buone ragioni e molte ingenuità. Gli investitori istituzionali conducono i loro affari con un processo totalmente razionale di selezione dei rischi che inevitabilmente conduce a due strade:
1) separare i rischi migliori dai peggiori e scegliere i primi per il criterio di tutela del denaro gestito;
2) attribuire un prezzo corretto al rischio, e arbitraggiare le opportunità valutando e comparando le medesime alternative su scala internazionale. Se il rischio è elevato il rendimento deve essere molto elevato, molto al di là di quanto è stato ed è prezzato dalle banche oggi.

Il primo punto ci dice che è inutile sperare che gli investitori istituzionali vadano a dare credito a quel 30-40% di imprese a cui le banche lo stanno già oggi negando per la valutazione di rischio e il consumo di capitale. Per quelle dobbiamo trovare un’altra soluzione.

Il secondo ci dice (testimoniato dalle cedole pagate dalle prime 30-40 emissioni di minibond) che il costo-prezzo di un medio-termine a una buona PMI italiana sta tra il 6% e il 10%, lontano da quanto ancora oggi offerto dal sistema bancario. Per di più questi 30-40 pionieri dovrebbero essere nella fascia delle migliori aziende.

Tutto insieme ci dice che gli investitori istituzionali, sicuramente liquidi e sicuramente interessati a cogliere nuove opportunità, non hanno l’anello al naso: se entrano sul segmento del rischio corporate/PMI italiane lo faranno scegliendo il meglio e chiedendo rendimenti elevati per coprire rischio e profitto. Sembrerebbe essere lo stesso desiderio del sistema bancario: buone imprese, basso rischio, spread interessanti. Le banche si dovrebbero fare da parte solo perché hanno poco capitale. Siamo sicuri che siano così pronte a stendere il tappeto rosso agli investitori, visto che proprio il sistema bancario si lamenta di avere credito da spendere su buone aziende ma di non avere domanda di credito? Al più possono travestire il loro interesse in fondi a cui partecipano sottoscrivendo quote., come sta avvenendo (le Popolari, BNL, Unicredit…)

Ecco perché il richiamo dei buoi-investitori è buona cosa per ricreare un mercato dei capitali in Italia ma non risolve il problema del credito alle imprese italiane in difficoltà da rilanciare. Che sono molte. Nè risolve il problema del costo del credito che in Italia è superiore di 2-3% al costo pagato dalle imprese in Germania e Francia.

Lo Stato rimane la valvola di sfogo del credito

Per il credito difficile temo si debba fare conto ancora sullo Stato che fornisce garanzie attraverso il Fondo Centrale, che si presta a dare garanzia sui minibond di bassa qualità (pessima idea) e che sarà chiamato in causa anche sulle cartolarizzazioni ‘buone’ (ABS) sollecitate da Draghi e dalla BCE per garantire proprio quella fetta di rischio che non vuole assumere la BCE (su insistenza tedesca) e che nessun investitore istituzionale riportato nel recinto dei rischi italiani vuole comprarsi.

L’alternativa per il credito difficile rimane quella dei Confidi, su cui è stato già scaricato tutto ciò che il sistema bancario non vuole comprare senza garanzia e che, allo stremo delle forze ora devono aggregarsi e ricapitalizzarsi. Auguri.

Per il credito buono a prezzi competitivi si deve invece fare affidamento sulla capacità degli investitori istituzionali di leggere il futuro delle imprese, i loro business plan, meglio di quanto sappiano oggi fare le banche con il rating Basilea, sulla capacità di comprare a prezzo conveniente un rischio che migliorerà in futuro grazie alla capacità, ai progetti, ai prodotti e alla qualità dell’imprenditore.

Non solo medio termine, non solo minibond

Curioso poi come del credito a breve termine non si parli mai, visto che le imprese hanno bisogno anche di quello e non solo di fondi per investire.  Nessuno propone soluzioni per offrire agli investitori istituzionali un profilo di investimento di durata inferiore all’anno (considerando fallimentare o quasi il tentativo di rianimazione delle cambiali finanziarie, che ha raccolto un numero di emittenti che si conta sulle dita di una mano).

Non è quello che succede all’estero dove investitori e piattaforme di invoice financing stanno riscuotendo parecchio successo: in UK Market Invoice ha triplicato il giro di affari sulle fatture di PMI nel giro di soli 6 mesi.  Aspettiamo che gli investitori esteri vengano a bussare a quella porta perché su questo segmento c’è molto da fare per convincere i buoi italiani scappati a ritornare nel recinto.

 

Articoli di F. Bolognin – ripreso da linkerblog.biz