I risparmiatori italiani non considerano il conflitto di interesse come un fattore significativo: solo 1 su 5 indica l’assenza di conflitto come un fattore determinante per scegliere o meno un consulente finanziario. Il 50% giudica il professionista della consulenza soprattutto in base alla disponibilità e all’attenzione rivolta al cliente.
A rivelarlo il “Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane”, realizzato da Consob ed Eurisko, che evidenzia una mancanza di consapevolezza sul valore e sull’importanza di un adeguato servizio di advisory.
Dati alla mano i risparmiatori sottovalutano l’importanza dello scambio informativo che deve attivarsi tra consulente e cliente affinché il primo possa fornire un servizio nel miglior interesse del secondo. In particolare, il 14% degli intervistati dichiara di non sentirsi in dovere di fornire all’intermediario (tenuto alla valutazione di adeguatezza delle proposte di investimento al profilo del cliente) informazioni complete e veritiere in merito alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria, mentre la percentuale di soggetti propensi a comunicare informazioni relative a uno dei molteplici profili necessari per la valutazione di adeguatezza (quali conoscenze ed esperienze, obiettivi, situazione finanziaria e orizzonte temporale) oscilla tra l’8% e il 30% circa.
Quando si tratta, invece, di ricevere informazioni il consulente torna fondamentale, ed è ritenuto il principale canale informativo (92% dei soggetti assistiti con consulenza MiFID e 70% dei soggetti che accedono alla consulenza generica o passiva), mentre rivestono un ruolo marginale internet e la stampa.
Ma quanti sono oggi gli italiani che si affidano e/o ricevono un servizio di consulenza finanziaria MiFID (ovvero che vengono contattati almeno una volta nell’arco di un anno dal consulente di fiducia, ricevono proposte di investimento personalizzate e riferite a uno specifico strumento finanziario)?
Secondo il report firmato Consob/Eurisko, a fine 2014, la percentuale di famiglie che fruiscono della consulenza MiFID si attesta attorno al 9%, confermando la scarsa diffusione del servizio; la consulenza generica e quella passiva coinvolgono, invece, rispettivamente il 15% e il 36% delle famiglie, in calo rispetto agli anni precedenti. Ma tra coloro che fruiscono del servizio di consulenza MiFID, il 60% dichiara di ricevere una proposta di investimento su iniziativa dell’intermediario (49% nel 2013), il 7% circa riceve, invece, una proposta a seguito di una sua specifica richiesta, mentre il restante 33% non è in grado di riconoscere la modalità con la quale accede al servizio.
Rimane ancora molto bassa, infine, la disponibilità a pagare per la consulenza: sia tra coloro che fruiscono del servizio MiFID (oltre il 60% non si esprime o dichiara di non essere disposto a sostenere alcun costo) sia tra coloro che ricevono consulenza passiva o generica (circa l’85%).
Fonte: advisoronline.it – autore:F_D_Arco
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