Cosa sono i robo advisor e di qual è la differenza tra la consulenza fornita da queste macchine senza cuore rispetto a quella di un consulente in carne e ossa?
In questo articolo vogliamo delle loro origini che hanno radici molto profonde nella storia finanziaria e non hanno nulla a che vedere con il fornire soluzioni di investimento adeguate per vari tipi di clienti.
Chi è abituato a ragionare con i grafici, dando poco spazio alle notizie economiche, se non nella misura in cui queste riescano ad influenzare o a essere già incorporate nell’andamento dei prezzi, si sarà sicuramente imbattuto in studiosi che hanno dato vita a tutta una serie di indicatori e oscillatori che servono a capire in che fase sia il prezzo di un determinato strumento finanziario.
Prima ancora degli indicatori e degli oscillatori c’è stato qualcuno che, tracciando delle linee sui grafici, è riuscito a definire il trend dello strumento finanziario analizzato e a fissare delle regole di comportamento nel caso in cui il trend fosse violato nella direzione opposta.
Questi studiosi spesso operavano personalmente sui mercati e ciò che ci hanno lasciato non sono altro che le loro regole di comportamento.
Una regola di comportamento è, per sua natura, qualche cosa che non da spazio alla discrezionalità: se si verifica un evento mi comporto in un certo modo, se se ne verifica un altro mi comporto in modo opposto.
Uno di questi personaggi è William Delbert Gann che, nei primi del 900’, applicando le sue regole all’andamento dei mercati è riuscito a predire con estrema precisione alcuni eventi che si sono poi realmente verificati: regole che ha tratto dalla semplice, a detta sua, osservazione della realtà.
Vorrei precisare che questo studioso, grazie alle sue ricerche ed elucubrazioni, è riuscito a guadagnare una marea di quattrini in un’epoca in cui non esistevano i pc e i grafici venivano studiati riportando i prezzi sulla carta millimetrata.
Un altro grande scopritore di regole per il funzionamento dei mercati è stato, in tempi più recenti, J. Welles Wilder, Jr., che è famoso nel mondo per l’indicatore RSI ma, oltre a questo, ci ha fornito dei modelli per identificare ogni fase del trend con precisi comportamenti da adottare riguardo a dove, quanto e quando investire in ognuna di queste.
In questi casi, e ho citato solo due esempi, il comportamento meccanico è volto a generare performance tramite meccanismi che non lasciavano nulla alla discrezionalità.
Mettendola sotto un altro aspetto, le regole con cui questi studiosi hanno interpretato l’andamento dei mercati, consentivano loro di abbandonare un’attività finanziaria quando questa incorporava un rischio troppo alto posizionandosi invece su quelle potenzialmente più remunerative.
Ma le regole formulate da questi studiosi non sono dei robo advisor agli albori? Secondo noi si’, in quanto queste regole stavano comunque alla base delle loro scelte d’investimento e, se le riportiamo in chiave moderna, potrebbero essere le regole che fanno funzionare il motore dei robo advisor di oggi.
Come ho spiegato all’inizio dell’articolo le regole elaborate da questi e altri studiosi non servivano per stabilire se un’operazione fosse adeguata o meno o per creare un portafoglio efficiente e immodificabile, servivano semplicemente ad interpretare la realtà nel modo più freddo possibile senza dare spazio all’emotività che è un fenomeno del tutto umano ed estraneo alla logica di un robo advisor e, come tale, questo genere di comportamenti po’ essere annoverato come il precursore del robo advisor attuale.
La differenza fondamentale tra ciò che questi ed altri studiosi hanno creato e ciò che sta alla base delle scelte d’investimento adeguate al cliente come vengono intese oggi, è il concetto di rischio.
Oggi ci si concentra sia sul rischio intrinseco di un’attività finanziaria (rischio di mercato, rischio di credito, rischio di complessità, ecc.) che non è sostanzialmente variabile nel tempo, sia sul rischio che il cliente finale è in grado di sopportare: la c.d. propensione al rischio.
I modelli che attualmente valutano l’adeguatezza di un’operazione finanziaria tendono ad allineare il rischio del prodotto con quello che il cliente è in grado di sopportare.
Gli studiosi del passato, ma anche molti del presente, hanno trasmesso un concetto di rischio che muta nel tempo a seconda di come siano posizionate le variabili quantitative poste alla base del funzionamento delle regole.
Facciamo un esempi pratico così ci capiamo meglio.
Un titolo di stato a tasso fisso, di un emittente con un buon rating, che non presenti rischi valutari dovrebbe essere alla base delle scelte d’investimento di un cliente con un profilo di rischio medio – basso, almeno secondo i modelli che valutano l’adeguatezza.
Se però, nei mesi passati, il prezzo di questo titolo fosse salito molto e incominciasse a dare segnali di debolezza nel suo trend o avesse già incominciato ad invertire la sua direzione violando limiti fissati da regole precise, la rischiosità di questo titolo sarebbe da considerarsi alla stessa stregua di quanto valutato al momento del suo acquisto?
Ovviamente no. E questa sarebbe una decisione presa da un robot advisor.
E coi lettori cosa ne pensate? I commenti sono aperti.
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