Un articolo di grande interesse che vediamo solo oggi. E’ vecchio di qualche mese e l’abbiamo recuperato nei meandri di Internet, anche se da quel che leggiamo e’ stato pubblicato su Linkiesta.
E se qualcuno conoscesse il vero nome dell’autore e’ pregato di lasciarlo nei commenti.
«Hai visto il terremoto in Giappone? Io credo che ci faremo un bel po’ di soldi: appena ho sentito della prima scossa sono andato short sulle compagnie di riassicurazione. È suggestivo infatti essere nella sede di una delle maggiori». Per una notte, e solo quella, Linkiesta ha visto da vicino il mondo dei banchieri londinesi. Proprio nei giorni in cui stanno arrivando i maxi bonus, come quello di Lloyd Blankfein, numero uno di Goldman Sachs, che ha chiuso il 2010 con uno stipendio di 19 milioni di dollari, il doppio del 2009. Un universo spesso mal raccontato a causa dei troppi pregiudizi che dal crac Lehman Brothers a oggi hanno impregnato la stampa internazionale. Umani, troppo umani: non bisogna mai dimenticare che i finanzieri sono prima di tutto questo. Come tali vivono, soffrono, si disperano, amano. E forse è proprio questo ultimo sentimento quello che diventa più contraddittorio quando ne incontri uno. L’amore per i soldi è forse l’unico che davvero non finirà mai.
The Gherkin, Londra. È metà marzo, a Londra fa ancora freddo. Il grattacielo di St. Mary Axe è uno dei più celebri del mondo. L’architetto è Norman Foster, la forma è a siluro. È stato commissionato da Swiss RE, una delle maggiori compagnie di riassicurazione globali, per farne il proprio quartier generale nella finanza che conta. 180 metri di acciaio e vetro, eco sostenibilità ai massimi livelli e tanto charme: questo è il Gherkin. «Al 40esimo piano c’è una festa organizzata da alcuni ragazzi di Goldman Sachs, vieni con me», mi dicono. Io non so cosa aspettarmi, l’indomani devo svegliarmi molto presto, ma decido di andare senza troppi pensieri. Del resto, l’evento è per l’inaugurazione della stagione dei compensi. E hanno deciso di non badare a spese.
Appena arrivato, ovviamente tramite la tube (fermata Aldgate), mi colpisce l’incredibile struttura del Gherkin. Alto, tecnologico, maestoso, non è immenso come i grattacieli di New York, ma il suo fascino è ineguagliabile. Attendo un paio di minuti e arriva il mio contatto, Richard. «Preparati perché stasera ne vedrai delle belle. Non a tutti capita di andare al 40|30», mi dice. In effetti, avevo visto su internet cos’era il 40|30 e ne ero rimasto affascinato. Da Canary Wharf a Westminster, tutta Londra è ai tuoi piedi, quando sei lì. Richard, che lavora per uno studio di private equity, mi dice che tutto l’evento è costato circa 90mila sterline, per complessive quattro ore. «Una bella sommetta», gli dico. E lui: «Beh, tieni conto che c’è da festeggiare. È un momento storico questo. La crisi sembra alle spalle e la stagione dei profitti per le banche sta tornando».
La City sembra tornata ai suoi fasti.I banchieri più in vista li riconosci subito. Abito sartoriale d’ordinanza, camicia bianca Turnbull & asser, gemelli ai polsi, scarpa oxford: è questo il dress code della Londra finanziaria. Anche sotto la pioggia, intorno a Threadneedle Street e Lombard Street, dove ha sede la Bank of England, li vedi passeggiare senza ombrello, incuranti dell’acqua. Tutti sembrano uguali, ma non è così. Nel Gherkin ne spicca uno. Mi dicono che lui è stato il direttore finanziario di una grossa banca statunitense per una decina di anni. Poi, ha preferito aprire un fondo hedge. Ora muove circa 5 miliardi di sterline, ogni giorno. È specializzato in investimenti di grande livello, soprattutto sull’obbligazionario, e ha lavorato fianco a fianco di Carl Icahn, il raider che pare ispirò Gordon Gekko, il finanziere del film di Oliver Stone, Wall Street. «Io mi sono fatto da solo e ora cerco di godermi un po’ il frutto del mio sudore», mi dice. Difficile dubitarne.
Le sue mani sono segnate, si nota che il nostro ha lavorato sodo prima di fare il banchiere. Tutti cercano sempre di ricordare che sono di umili origini. Due i miti, assoluti: George Soros e Warren Buffett. Ma anche tanti altri nomi, sconosciuti ai più, come Jim Rogers, storico gestore di fondi hedge operante in commodity. Intanto, giunge il primo calice di champagne, accompagnato da un finger food a base di sushi.
Arriva il momento di parlare dei bonus. Prende la parola un banchiere sui 60 anni, fisico atletico: «Pochi giorni fa Bob Diamond si è beccato 6,5 milioni di sterline, ora vediamo chi lo batte». Il numero uno di Barclays infatti a inizio marzo ha fatto clamore sulla stampa britannica per il suo maxi bonus. Per ora lo ha battuto António Horta-Osório, amministratore delegato del Lloyds, banca storica (e nazionalizzata). Con circa 9,7 milioni di sterline di compenso extra, Horta-Osório può dirsi il più contento banker della City, almeno sotto il profilo dello stipendio 2010. Lo Squalo (così è chiamato nel Miglio quadrato) è stato chiamato al Lloyds per «fargli sentire nuovamente cosa significa fare banca», mi dice Richard. Lo ha fatto, anche a costo di prendere scelte impopolari, come quella di pochi giorni fa. «Abbiamo deciso di tagliare 570 posti», ha detto lo Squalo. Ed ecco che arrivano i bonus. «Sai chi mi ricorda? – dice Richard – Mi ricorda Marc Tourneuillerie, quello del Capitale: è stronzo uguale».
Il Capitale a cui fa riferimento non è quello di Karl Marx, bensì un libro culto del 2004 di Stéphan Osmont, che racconta le vicende di un banchiere francese, Tourneuillerie appunto, fra sesso, soldi e brama di potere a tutti i costi. E proprio come il protagonista del Capitale, Horta-Osório si è beccato un maxi bonus dopo una girandola di licenziamenti.
«Tagliare le teste funziona sempre quando si tratta di guadagnare. Gli azionisti sono contenti, la profittabilità aumenta, devi pagare meno persone, meno problemi in testa», mi dice un trader poco più che ventenne presente al 40|30. Si chiama Jérôme e se non mi avesse detto il nome, l’avrei scambiato per britannico per via del suo inglese perfetto. Arriva dall’Insead, la business school di Parigi, e ha in mente di fare l’École nationale d’administration (Ena), la scuola che prepara i presidenti della Repubblica francese. Nel mentre, fa il trader nel segmento fixed income per una banca londinese, una delle più celebri. «Non è che mi diventerai il prossimo Jérôme Kerviel?», gli chiedo ironizzando. Mio malgrado scopro che per questo mondo Kerviel è ancora tabù. Il giovane trader di Société Générale, condannato a 5 anni di reclusione nello scorso ottobre per aver perso 5 miliardi di euro di SocGen, non è ben visto. Colpa, mi spiegherà poi Richard, del «suo vizio di non tenere la bocca chiusa». Chiedo a Jérôme per quanto pensa di fare il trader, dato che è un mestiere logorante. La sua risposta non mi stupisce. «Soldo chiama soldo, amico. Io farò questo lavoro fino a quando non ne arriva uno per cui mi pagano 10 volte tanto. E stai tranquillo che arriverà entro breve», mi dice. La sua ostentata sicurezza mi spaventa. Sembra quasi logico il suo discorso, ma dopo qualche istante mi rendo conto di star parlando con un ragazzino che prende migliaia di euro alla settimana per negoziare soldi non suoi. Un leggero brivido mi corre lungo la schiena, ma lo champagne fa andare via tutto.
C’è anche tempo per discutere di crisi sistemica, di nuove bolle e di quello che succederà all’Europa. Sono in tanti quelli che al parlare di Lehman Brothers ancora si stupiscono. «Devi capire che quello che ha fatto Dick Fuld è stato folle. Ha messo in cattiva luce tutto il nostro mondo. Io capisco che dobbiamo forse darci una regolata, ma come facciamo? Io ho da mantenere un impero e per colpa di Lehman ora mi fanno anche sentire in colpa», fa notare un gestore di fondi hedge sulla sessantina. Gli chiedo quali saranno le sue scommesse per il futuro e le risposte mi lasciano interdetto. «Figliolo, tutti stiamo puntando sull’Africa nera: Ghana, Nigeria, Zambia. Questo è il futuro», mi dice. Lo interrompe Richard: «Ti stai dimenticando la Cina!». Sì, perché qui tutti sono sicuri che la Cina sarà la grande bolla che prima o poi scoppierà, il Big One della finanza. Colpa della trasparenza inesistente, delle macchinazioni per aumentare i valori del Prodotto interno lordo, degli squilibri nella popolazione.
«E l’Europa?», chiedo timidamente. Tutti stiamo vedendo cosa succede intorno a noi. Grecia giù, Irlanda giù, Portogallo giù. È legittimo chiedersi in che modo potrà uscirne Bruxelles. Il primo a rispondere, forte dei suoi vent’anni, è Jérôme: «Per me entro cinque anni non esisterà più l’Europa come la conosciamo. Da un lato il Club Med (la parte meridionale, ndr), dall’altro il Core. La Germania si sta già rompendo le scatole di dover salvare tutti». Più cauto è Richard, che parla invece di volontà intrinseca di Bruxelles a voler preservare l’Eurozona a tutti i costi. Sarebbero troppi i costi di una frammentazione. Di certo, il sentore che si ha nel Gherkin è che si stia parlando di argomenti importantissimi con una leggerezza inaudita. Sarà forse colpa dello champagne Perrier-Jouët che sta scorrendo nei nostri calici da oltre due ore. Non faccio in tempo a finirlo che un cameriere arriva con la tipica bottiglia belle époque della cantina francese.
Dopo un paio di ore, arrivano una decina di ragazze. Tutte giovanissime, tutte bellissime. «Devi capirmi, lavoro tutto il giorno. Almeno la sera voglio divertirmi un po’», mi dice uno dei presenti. Nessuno parla apertamente delle mogli, ma tutti (o quasi) hanno una fede al dito, come un feticcio irrinunciabile. Jérôme si avvicina a me e indicandomi una bruna mi dice: «Tu sei italiano, dovresti essere pratico con il bunga bunga». Il difficile, fra lo champagne e tutto il resto, è spiegargli che si tratta di un luogo comune. L’aspetto più incredibile è che la maggior parte dei presenti sa che se vorrà passare delle ore con queste ragazze dovrà pagare. Richard, proprio come fa Virgilio con Dante, mi spiega che è la prassi. Il brutto è quando ti innamori. In quel caso sai che dovrai guadagnare ancora di più perché sai inconsciamente che quella ragazza ti sfrutterà fino all’ultimo pound. Vuoi vedere che dietro ai maxi bonus c’è sempre una donna?
È il momento dei saluti. Dopo quattro ore passate al 40|30, svariati calici di Perrier-Jouët, innumerevoli biglietti da visita scambiati e strette di mano, ci tocca andar via. Io nel mio hotel a Marylebone, Richard nella sua abitazione di Mayfair, gli altri chissà dove. Solo Jérôme mi dice cosa farà: «Faccio un salto in ufficio, giusto in tempo per guardarmi le ultime news da Fukushima e shortarmi su Tepco».
Aveva ragione lui. I soldi chiamano i soldi.
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