Il cattivo rapporto tra la politica italiana e la finanza internazionale

Non c’è che dire: le elezioni italiane spaventano gli investitori internazionali. E alla vigilia del blackout dei sondaggi, il Partito democratico si è mosso su invito di Nouriel Roubini, la rockstar degli economisti. Perché si sa, meglio tenerseli buoni quelli che lo stesso Pd definisce “speculatori internazionali”. E così, come ha scritto anche oggi La Stampa, Enrico Letta si è recato all’Hotel Lancaster di Londra per parlare di fronte a loro, agli squali della finanza. Per dire cosa? Non solo per tranquillizzare sull’eventuale vittoria di Silvio Berlusconi, ma soprattutto per zittire le voci che vedevano un centrosinistra spaccato.

È un rapporto di amore-odio quello che c’è all’interno del partito guidato da Pier Luigi Bersani. Un giorno gigioneggia con “speculatori internazionali”, un altro li attacca invocando la tassa sulle transazioni finanziarie o addirittura chiamandoli “banditi”. Il problema è che la distorsione è sempre più marcata: all’estero il Pd flirta con la finanza, in Italia la demonizza. Certo, ora che si tratta di prepararsi a governare il Pd deve garantirsi un rapporto coi mercati, e dimostrare che non ha bisogno di tutori.

Ma resta difficile non pensare a cosa è successo dopo che Matteo Renzi ha incontrato, sempre a porte chiuse (errore innegabile, dal punto di vista tattico), la comunità finanziaria milanese nello scorso ottobre. Allora, nel pieno della campagna per le primarie, gli attacchi a Renzi e a quel mondo furono durissimi. Eppure, tra le file dei bersaniani di ferro, in diversi corrono a incontrare la finanza londinese. Su esplicito invito di Bank of America-Merrill Lynch, il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, vola a Londra per una serie di incontri istituzionali con banche e, già che c’era, si fa intervistare dal Financial Times.

Tutti, ma proprio tutti, rimangono stupiti da Fassina, salvo poi capire l’antifona: Fassina ha detto loro ciò che volevano sentirsi dire, ovvero l’opposto di ciò che dice in Italia. Un semplice controllo incrociato con le ultime dichiarazioni è bastato per far fare marcia indietro all’establishment finanziario londinese. «Prima e ultima volta», commenta un collega del quotidiano londinese in via confidenziale. Veramente “unfit”.

E poi arriva Letta. Chi era presente all’incontro riferisce che si sia presentato praticamente come ministro delle Finanze in pectore, cosa peraltro probabile, parlando delle sfide che dovrà affrontare l’Italia nel dopo voto. Non solo. Letta ha raccontato quali sono i possibili esiti delle urne e ha comunicato ai presenti quale programma di riforme vuole adottare il Pd nel caso di vittoria alle elezioni. Pare inoltre che si sia parlato a lungo anche di Mario Monti, con il quale i rapporti sono sempre più fitti.

Che Letta abbia già anticipato una possibile alleanza post-elettorale? Sensato. Quello che è certo è che ad ascoltarlo c’erano alcuni dei migliori gestori di hedge fund, banchieri e asset manager. Il tutto a porte chiuse. E dato che i presenti avevano l’obbligo della Chatham Rule, la fuga di notizie non può che essere funzionale a mostrare quanto il Pd sia attento al dialogo con la finanza internazionale. Una velina? Quasi sicuramente sì. Ma proprio su questo punto inizia la contraddizione più vistosa.

Sono mesi che Bersani e Fassina attaccano l’universo finanziario, come se fosse l’unica causa della crisi che sta vivendo l’Europa. È colpa dei banchieri se lo spread era alto. È colpa dei finanzieri se l’Italia ha avuto il governo Monti. È colpa di Wall Street se la gente perde il lavoro. Insomma, il solito circo di attacchi verso ciò che non si conosce. A tal punto che un banchiere londinese di spicco ci dice, senza peli sulla lingua, che quello del Pd è un comportamento bizzarro. «Gli esponenti di spicco del Pd che visitano la City si ostinano a parlare con gli hedge fund, i trader, i banchieri di prima linea, ma non incontrano mai i risk manager, ovvero quelli che fanno prendere decisioni davvero significative su posizioni di lungo periodo, non di breve», dice. In altre parole, manca di lungimiranza. Ma manca anche di prospettiva. «Le classe dirigente del Pd parla con la classe dirigente italiana di Mayfair, nemmeno con la City – continua il banchiere – forse perché hanno paura delle domande degli analisti della City?».

Il problema del Pd è strutturale. Delle due l’una. O parlare con la finanza va bene o non va bene. Non ci sono mezze misure. O si crocifiggono tutti o non si crocifigge nessuno. La demonizzazione della finanza è ottusa e controproducente. Gli “speculatori internazionali” non sono altro che persone che gestiscono soldi, non sono enti di beneficenza. Soprattutto, sono gli individui che comprano il nostro debito pubblico.

E per lavorare devono avere informazioni che, molto spesso, possono ottenere solo dai politici. Il dialogo fra le parti è fondamentale, e non sempre può e deve essere fatto a porte aperte, al fine di non dare un vantaggio competitivo ad altri sui mercati finanziari. Politica e finanza possono e devono vivere insieme. L’importante è che ci siano credibilità e rispetto reciproci, senza pregiudizi o dietrologie. Proprio l’opposto di quello che è il Pd oggi. Forte in casa, mansueto fuori.

 

Fonte: Fabrizio Goria, linkiesta.it