Dal lavoro come produzione – che ha in vista solo crescite esponenziali senza ragione e senza perché – al lavoro come servizio dove la produzione non ha in vista solo beni e merci, di cui non sapremmo neppure cosa fare, se non fosse per bisogni e desideri indotti, ma anche erogazione di tempo, cura, relazione. In una parola: Condivisione.
Cohousing, un nuovo modo di abitare con spazi e servizi condivisi tra persone amiche che si sono scelte e che insieme hanno progettato la propria comunità residenziale. Chi vive in cohousing -sono più di mille gli insediamenti di questo tipo nel mondo – vive una vita più semplice, meno costosa e meno faticosa decidendo innanzitutto cosa condividere: un micronido per i bambini, un orto o una serra, un living condominiale, un servizio di car sharing o una portineria intelligente che paga le bollette e ritira la spesa. Solo per fare qualche esempio.
Stiamo organizzando l’ampio ventaglio di competenze professionali necessarie a realizzare i progetti di cohousing: ricerca delle aree idonee, progettazione sostenibile degli interventi, formazione del gruppo promotore e sua evoluzione in una comunità organizzata, design di spazi e servizi comuni.
Il cohousing, nato in Scandinavia negli anni 60, ed oggi diffuso in Danimarca, Svezia, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone, Svizzera e persino nel nostro Paese, non è un utopia ma l’esperienza quotidiana di migliaia di persone in tutto il mondo che hanno scelto di vivere in una comunità residenziale a servizi condivisi.
E non è più da vedere come una comune più o meno hippy, rifugio di strafatti e sbandati, anche se sopravvivono iniziative di questo tipo: di solito vere e proprie topaie che lasciano molto a desiderare anche sotto i profili organizzativo, delle relazioni fra gli abitanti e persino igienico-sanitario. Crediamo siano destinate a scomparire entro un tempo più o meno breve.
Le comunità di cohousing combinano l’autonomia dell’abitazione privata con i vantaggi di servizi, risorse e spazi condivisi (micronidi, laboratori per il fai da te, auto in comune, palestre, stanze per gli ospiti, orti e giardini…) con benefici dal punto di vista sia sociale che ambientale.
Tipicamente consistono in un insediamento di 20-40 unità abitative, per famiglie e single, che si sono scelti tra loro e hanno deciso di vivere come una comunità di vicinato per poi dar vita – attraverso un processo di progettazione partecipata -alla realizzazione di un villaggio dove coesistono spazi privati (la propria abitazione) e spazi comuni (i servizi condivisi).
La progettazione partecipata riguarda sia il progetto edilizio vero e proprio – dove il design stesso facilita i contatti e le relazioni sociali – sia il progetto di comunità: cosa e come condividere, come gestire i servizi e gli spazi comuni, mentre le motivazioni che portano alla coresidenza sono l’aspirazione a ritrovare dimensioni perdute di socialità, di aiuto reciproco e di buon vicinato e contemporaneamente il desiderio di ridurre la complessità della vita, dello stress e dei costi di gestione delle attività quotidiane.
Il tutto con un chiaro obiettivo: nessun metro quadro in più sottratto alla Natura con nuove costruzioni, bensì il recupero di luoghi eisstenti e dismessi. In Italia se ne contano oltre mille: borghi abbandonati che possono tornare a nuova vita, in una logica di decrescita e rispetto dell’ambiente
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