I documenti della Bce e della Banca d’Italia sulle valute virtuali sono stati elaborati non per un esame delle implicazioni sulla politica monetaria ma per gli effetti che queste potessero avere sui sistemi di pagamento.
I volumi di queste transazioni non sono rilevanti sul piano della politica monetaria; sebbene vi sono elementi interessanti nella tecnologia utilizzata non occorre sottovalutare i rischi associati. Il fenomeno è comunque oggetto di continua attenzione nell’ambito dell’attività di sorveglianza sui sistemi di pagamento.
Su questo aspetto voglio chiarire che Banca di Italia è una istituzione che svolge più funzioni, io qui porto l’esperienza propria della componente della sorveglianza sui sistemi di pagamento, ancorchè vi siano strette interrelazioni con le problematiche di vigilanza, al cui interno ho lavorato per anni.
Nel 2012 è stato elaborato il primo documento della BCE nell’ambito del Pssc (Payment and Settlement Systems Committee, ndr), che è il gruppo che nell’Eurosistema è investito delle problematiche relative alla sorveglianza sui sistemi di pagamento; i lavori sono stati avviati ancor prima e abbiamo posto attenzione al fenomeno dal suo nascere per le possibili implicazioni nell’ambito dell’evoluzione dei sistemi di pagamento. Le conclusioni sono nei rapporti.
Il tema delle valute virtuali è stato poi affrontato anche dall’EBA (European Banking Authority) per i profili più direttamente riconducibili alla tutela del consumatore e di vigilanza bancaria.
Il fenomeno delle valute virtuali, in un approccio pragmatico e al di là delle definizioni ufficiali, può essere visto come quello di una comunità che ha deciso di utilizzare un proprio strumento di riferimento per regolare gli scambi al suo interno; questo valore è generato all’interno della stessa comunità e quindi siamo in presenza di un “sistema chiuso”.
Il tema è comprendere le implicazioni che si hanno quando questa comunità vuole far interagire i valori digitali in un ambito più ampio, in quello che può essere chiamata la comunità “istituzionale”, con un processo che chiamerei di “contaminazione”
Su questi effetti, espressi in termini di rischi, si sono incentrate tutte le posizioni sia del rapporto Bce, sia delle raccomandazioni EBA sia del GAFI, per gli aspetti più inerenti alle problematiche di contrasto del riciclaggio. Raccomandazioni riprese dalle recenti comunicazioni della Banca d’Italia e dell’UIF.
Il fenomeno può essere poi visto sul piano dei possibili utilizzi della tecnologia applicata agli schemi di valute virtuali, che possiamo in estrema sintesi richiamare nell’algoritmo utilizzato per “produrre” i valori digitali e la blockchain, che ne registra le transazioni, nell’ambito dei sistemi di pagamento.
In alcuni documenti, fra cui quelli più citati sono della Bank of England, viene anche richiamata la possibilità di utilizzare la stessa tecnologia per emettere una quota parte della valuta ordinaria che potrebbe, fra l’altro, facilitare le transazioni elettroniche. Non mi sembra vi siano state posizioni volte a riconoscere a Bitcoin, o ad altra valuta virtuale, la funzione di mezzo di scambio.
Nel momento in cui in una comunità abbiamo un oggetto – che in Germania è considerato strumento di investimento – che può rappresentare un valore e dietro il quale ci sono modalità di scambio di valori, dobbiamo capire che riflessi può avere sul sistema dei pagamenti: quello che ho chiamato il processo di contaminazione.
I fautori delle valute virtuali sottolineano la forza di un sistema di pagamento affrancato da regole in uno spirito “libertario” che forse tutti abbiamo avuto da giovani, ma che si tramuta facilmente nella ricerca di chi non ha “controllato” quando emergono problemi.
E in questi anni abbiamo osservato fallimenti di piattaforme di scambio e forti volatilità dei valori con riflessi sull’utilizzatore di queste valute. Questi aspetti hanno portato i regolatori in sede europea e nazionale a richiamare fortemente l’attenzione degli utilizzatori sui rischi insiti in queste transazioni.
I rischi di cui stiamo parlando sono quelli del consumatore, non del “minatore”, che ha scelto consapevolmente di fare qualcosa usando risorse tecnologiche proprie o di terzi. Fin quando le perdite sono di qualcuno che utilizzando la tecnologia ha costruito dei valori, siamo in presenza di un “quasi gioco”, ancorché costoso, perché sono stati fatti investimenti per la tecnologia, però sono stati fatti consapevolmente. Diversa è la posizione di chi, quale consumatore finale, crede di acquisire un valore a fronte del proprio risparmio.
La tutela del consumatore è centrale nelle regole che presidiano il sistema dei pagamenti. La tutela del consumatore e dell’investitore presuppongono la consapevolezza reale dei rischi, non si può solo asserire che ognuno è libero delle proprie scelte, queste devono essere basate su informazioni complete.
Vorrei ricordare una esperienza personale. Nel corso di un’attività di assistenza tecnica in Albania osservavo il fenomeno delle c.d. piramide finanziarie e il dibattito sulla necessità di avere una regolamentazione su chi offriva questi investimenti. La risposta ricorrente era quella che richiamavo: “le persone sanno bene che sono iniziative private”, forse sapevano ma non erano consapevoli dei rischi. E uno degli elementi scatenanti i disordini della crisi del 97, fra l’altro, sono state le elevate perdite di molti piccoli risparmiatori legate a questa non consapevolezza.
Un possibile elemento di contaminazione, spesso richiamato sulla stampa, è la possibilità di scambiare i Bitcoin con valute ordinarie; può avvenire su piattaforme web o anche su chioschi fisici. Attività consentita, ma l’assenza di regole specifiche non deve far tralasciare i rischi: piena consapevolezza che non si è in presenza di apparecchiature con regole di sicurezza propria degli ATM e che quello che si sta acquisendo ha un valore solo in un ambito ristretto.
Forse le raccomandazioni delle autorità potrebbero essere “presentate” dall’offerente il servizio in una logica di trasparenza dell’attività. Sempre in tema di tutela del consumatore andrebbe poi richiamata l’attenzione sull’irreversibilità delle operazioni su valute virtuali, in quanto bilaterali e definitive, e i rischi che questo comporta, anche nel caso di un mero “errore”.
Farei poi una domanda provocatoria al gestore: quali sono i volumi trattati, e se si sono posti la domanda, che occorre farsi, se dietro quelle transazioni non vi possa essere un’ipotesi di riciclaggio
Un altro richiamo all’aspetto di contrasto al riciclaggio. Una transazione in bitcoin registra uno scambio che può essere solo una simulazione, un riferimento ad una diversa operazione sostanziale. Ad esempio si può effettuare una transazione che trova una sua rappresentazione sulla blockchain, nei fatti i due soggetti possono avere solo segnalato uno scambio di valori reali a fronte di prestazioni illecita; una sorta di comunicazione certificata e pubblica.
Si è parlato della immediatezza della transazione; un altro mito che forse andrebbe sfatato, o quantomeno circostanziato.
Negli attuali schemi di pagamento elettronici l’immediatezza del pagamento è assicurata dall’emittente lo strumento di pagamento; questo è vero, ad esempio, per le carte. Quella che, però, non è immediata è la disponibilità dei fondi, che trova presidi nelle regole di funzionamento degli schemi ovvero nella regolamentazione; nei meccanismi di instant payments viene assicurata al beneficiario anche la disponibilità immediata dei fondi.
Nella transazione in valute virtuali questa si conclude in un lasso temporale di minuti e con la disponibilità di un “computer”, vedo qualche difficoltà ad applicarla nelle ordinarie attività commerciali.
Si è poi parlato di costi. Negli schemi di valute virtuali si sottolinea sempre l’assenza di costi; credo però che si debba precisare che, poiché tutte le attività hanno costi, i costi di questi schemi vi sono e sono, ancorchè in maniera diversa, posti a carico degli utilizzatori, forse in maniera non esplicita.
E’ quello che accade per il contante i cui costi di produzione e di gestione sono e posti a carico della banca centrale, o degli intermediari, e non vengono percepiti in modo diretto dal consumatore
Vorrei ora passare al tema della tecnologia “tipo bitcoin” applicata, ovvero applicabile, ai pagamenti. Le soluzioni puntano su alcuni aspetti caratteristici di questa tecnologia, fra cui la documentabilità della transazione. Questo è un aspetto interessante che scaturisce dall’esperienza delle criptovalute e che apre riflessioni interessanti per l’innovazione nei pagamenti e sviluppi delle regole.
Semplificando, un operatore può definire un algoritmo di calcolo di valori digitali, produrli e associarli univocamente a valori economici, quale un deposito, che trovano un riscontro contabile; questi valori sarebbero gestiti nell’ambito di un classico sistema di pagamenti, che utilizza però la blockchain per rilevare le transazioni. Il valore digitale in questo caso sarebbe solo il tracciante della transazione.
In termine di tutela del consumatore non vi sarebbe nessun cambiamento: il servizio sarebbe offerto da un intermediario autorizzato, le transazioni avrebbero le tutele dell’attuale quadro normativo, i presidi di sicurezza dovrebbero rispondere ai principi fissati dalla regolamentazione. I proponenti il servizio ne sottolineano potenzialità in termini di efficienza operativa.
Su un piano di funzionalità dei mercati peraltro, al di là della verifica dei presidi di sicurezza, queste soluzioni hanno una controindicazione in quanto la scelta di un algoritmo ”proprietario” da parte dell’offerente il servizio ne circoscrive l’utilizzo alla comunità rappresentata dai clienti dello stesso prestatore. Non essendo interoperabili potrebbero determinarsi frammentazioni di mercato ed inefficienze nella funzionalità del sistema dei pagamenti nel suo complesso.
Ovviamente questo non preclude che questi servizi possano essere offerti, e sul mercato già vi sono alcune esperienze.
Per quanto riguarda la normativa dobbiamo ricordarci che siamo in un mondo globale, una normativa circoscritta all’Italia forse peccherebbe di efficacia e sarebbe aggirabile.
Andrebbe poi meglio circoscritta l’area di applicazione. Nel corso della tavola rotonda sono stati sollevati vari temi e per ognuno di questi potremmo ipotizzare una regolamentazione; ad esempio sulle caratteristiche soggettive dei soggetti che emettono valori digitali, sulla loro governance ovvero una qualificazione dei valori digitali; altra area potrebbe essere quella della trasparenza o sulla privacy attese le caratteristiche della blockchain. Potremmo invece concentrarci sulla possibilità di individuare principi che possano rendere in qualche misura l’interoperabilità fra schemi che utilizzino la tecnologia “tipo bitcoin” per offrire servizi di pagamento ovvero individuare soluzioni pubbliche per la gestione di un algoritmo che i prestatori di servizi possano utilizzare.
Sono tutti temi all’attenzione di tutti i regolatori ma non a caso il rapporto dell’EBA raccomanda una scelta che sia quantomeno europea; personalmente credo che approcci divergenti non favorirebbero la comprensione del fenomeno su cui occorre invece continuare ad approfondirne le potenzialità, i possibili utilizzi nonché le implicazioni e i rischi, elementi diversi di un sistema poliedrico.
Testo ripreso dall’intervento di Domenico Gammaldi pubblicato nell’inserto Nova su ilsole24ore.com
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