Nel 2006 con in mano i dati delle PMI clienti della banca in cui lavoravo, osservando livelli di rischio elevato per il 15% del totale, mi convinsi del rischio che quella percentuale potesse aumentare considerevolmente e della necessità di modificare radicalmente i processi commerciali e della gestione del credito per evitare il peggio.
Oltre otto anni dopo, vissuti fuori dal sistema bancario, prendo atto che la profezia si è avverata e che i processi delle banche non sono stati adeguati alla situazione di crisi esplosa dal 2008. Gli effetti dell’impreparazione delle piccole imprese alla crisi di liquidità e del ritardo nella conversione del personale e delle procedure bancarie alla prevenzione della crisi sono oggi scritti nei 330 miliardi di crediti deteriorati, cresciuti dal livello iniziale che era all’incirca di 60 miliardi.
Il fenomeno delle sofferenze delle banche italiane è diventato nel frattempo materia di analisi, di preoccupazione per IMF e EU e, purtroppo, anche un attraente mercato per gli operatori specializzati nell’acquisto di NPL (Non Performing Loans).
Da un recente studio pubblicato dalla strana coppia OLIVER WYMAN (consulenza strategica) e INTRUM JUSTITIA (recupero crediti) “European Retail and SME Credit: recovery time?” prendo alcune fotografie che confermano quanto l’area del credito alle PMI sia diventato il peggiore problema delle banche, e continuerà ad esserlo.
Alla fine del 2013 infatti l’Italia aveva accumulato un valore di NPL di 161 miliardi, molto superiore a quello di tutti gli altri paesi eccetto la Spagna il cui numero (103 mld.) esclude le sofferenze passate nella bad bank SAREB. Ma il secondo punto più interessante è che il 78% delle sofferenze italiane arrivano da prestiti alle PMI, contro il 56% in Spagna, il 49% in Francia, il 31% in UK e il 27% in Germania.
Secondo OW e INTRUM il flusso di sofferenze non si interrompe e colpirà le banche italiane almeno fino al 16 per ulteriori 76 miliardi, ancora una volta 3/4 dei quali posizionati sulle PMI. Sono molto diversi i numeri degli altri paesi, sia per quanto riguarda i flussi di nuove sofferenze, che per la componente delle PMI, che peserebbe in Germania per solo il 12% dei 53 miliardi previsti. Lo studio ha elaborato anche l’effetto in uno scenario pessimistico di minore crescita e prolungamento della crisi e l’Italia è di nuovo il peggiore paese europeo.
La somma di gravi impreparazioni
Le conclusioni che si possono tirare da questi dati sono piuttosto amare per il sistema economico italiano:
1) le nostre PMI si sono dimostrate estremamente vulnerabili nella crisi 2008-2014, nonostante la quantità di credito erogato fosse sostanzialmente proporzionata alla dimensione del PIL italiano. L’accumulo di circa 120 miliardi di sofferenza, 90 delle quali sulle PMI indica una predisposizione eccessiva all’insolvenza, che è stata attivata dalla combinazione di calo dei fatturati, eccesso di debito e impreparazione degli imprenditori a frenare la scivolata verso l’insolvenza.
2) l’eccesso di debito -impossibile da servire senza liquidità- è una co-produzione del sistema bancario e dei piccoli imprenditori. Più grave l’errore delle banche che dovrebbero essere dotate di maggiori strumenti e preparazione finanziaria rispetto ai piccoli imprenditori. La corsa all’aumento del credito alle imprese, che si è interrotta solo alla fine del 2011, ha dato il colpo definitivo alle PMI illudendole di avere liquidità mentre la loro capacità di generare flussi di cassa positivi si spegneva.
3) il sistema bancario paga con la crescita delle sofferenze la scarsa attitudine dei processi tradizionali del credito a prevenire il peggioramento del rischio delle PMI. Nella stragrande maggioranza dei casi ha subito passivamente il deterioramento finanziario dei propri clienti-imprese, aggravandone lo stato con tassi d’interesse elevati e con strappi sugli affidamenti (revoche). Non ci sono troppe scusanti. I processi del credito sono rimasti sostanzialmente invariati, i segnalatori del rischio-incendio sistematicamente ignorati dalle filiali, i processi di ristrutturazione sono stati attivati con un ritardo di 18-24 mesi rispetto all’insorgere dei sintomi della crisi.
Scenari ignorati dal Garante delle PMI
Lo scenario dipinto da OW-Intrum implica un flusso di altri 50 miliardi di sofferenze sulle PMI, parte delle quali già avvenuto nel 2014. Questo perché nonostante il peggio sia passato, gli effetti degli anni terribili si trascinano sulla liquidità delle imprese anche nel 2015 e oltre. Curiosamente nella relazione al Presidente del Consiglio appena pubblicata dal Garante delle PMI del MISE non c’è la minima traccia di questo fenomeno di decadimento, ma si sparge in 49 pagine un surreale ottimismo basato sulla crescita del numero di Reti di Imprese, di startup innovative e di minibond (40 PMI emittenti in quasi 3 anni…). Pessimo esempio di struzzo economico asservito a una discutibile operazione di propaganda governativa.
Il sistema imprenditoriale, con la sua dotazione capillare di Camere di Commercio, Associazioni e professionisti dedicati ha fallito nella prova di resistenza alla crisi, dimostrando grave impreparazione e tutta la fragilità della micro-dimensione. Il sistema bancario ha ugualmente fallito nella gestione del credito, nonostante i suoi algoritmi del rating di Basilea. L’effetto combinato è stato pesante.
Esami di riparazione
Se c’è una lezione da queste fotografie deve essere imparata velocemente. I piccoli imprenditori devono aumentare notevolmente la loro sensibilità finanziaria, ridurre l’esposizione al debito e gestire il rapporto con le banche in un modo assai diverso.
Una volta smaltiti 50 o 100 miliardi di sofferenze con la futura bad bank, le banche devono invece seriamente domandarsi se sono in grado di servire un segmento di clientela, le PMI, che è solo apparentemente facile sul piano commerciale, ma che si è rivelato una trappola mortale. Questo significa mettere in discussione il modello di servizio e l’intero processo del credito. Solo teoria? Decisamente no.
Articolo di F_Bolognni – ripreso da linkerblog.biz