Il credito bancario alle imprese non tornera’ nel 2014 e neanche nel 2015

“I segnali di ripartenza sono debolissimi e non si possono cogliere con un ottimismo particolare. Giro tra le imprese e vedo tanta disperazione”.

Così ha parlato Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, secondo il quale restano irrisolti i nodi della crescita, segnalando nuovamente la preoccupazione per la riduzione del credito, i mancati pagamenti della Pubblica amministrazione, la non competitività del costo del lavoro.

Una smentita immediata alle affermazioni di chi, come il presidente dell’ABI cerca di indorare l’impatto del credit-crunch sulle imprese. Dopo poco più di due anni di calo degli impieghi alle imprese (il picco di 908 miliardi a settembre 2011) e un calo di oltre 80 miliardi è inutile discutere sui numeri.

Si discute invece su un possibile ritorno del credito, che dovrebbe accompagnare la ripresina per fare sì che non sia debolissima. Dibattito che vede contributi da chi auspica soluzioni tampone per rianimare il credito bancario con l’intervento pubblico della solita Cassa Depositi e Prestiti, dei Confidi, delle cartolarizzazioni dei prestiti alle PMI e sostiene che nemmeno la BCE riuscirà a smuovere le banche anche qualora subordinasse le nuove forniture di liquidità (tramite LTRO) a vincoli che penalizzano le banche che non finanziano l’economia reale, sul modello (“Funding for Lending Scheme”) adottato dalla Bank of England, che non sembra avere smosso le 4 grandi banche.

Entrambe le tesi sono ben argomentate e hanno un fondamento, ma hanno il limite di parlare di credito in modo generico e statistico, senza fare differenza tra le tipologie di imprese: grandi e micro, forti e fragili. E questo è un grande limite che non aiuta i singoli imprenditori a capire cosa succederà nel 2014 del loro credito bancario.

Perciò se non vogliamo creare pericolose illusioni è più onesto spiegare agli imprenditori ciò che deve essere capito:

1) il credito alle imprese continuerà a calare come numero assoluto, non soltanto perché le imprese non chiedono di finanziare investimenti, ma perché le banche italiane (non tutte per fortuna, ma le più grandi) non hanno alternative alla precipitosa riduzione degli impieghi.

Devono dimagrire per entrare nel vestito stretto dei ratio di capitale, non volendo tornare dai loro azionisti per chiedere nuovi aumenti di capitale (emblematica la situazione a Siena con la banca che deve fare l’aumento subito e la fondazione senza mezzi che vuole rimandare). Se poi, come appare sempre più probabile, la ponderazione a rischio zero sul portafoglio dei titoli di stato italiano dovesse essere eliminata per tenere conto di un ipotetico default dello Stato, il problema si complicherebbe ulteriormente. Nel dubbio si continuerà a dimagrire.

2) nella corsa alla riduzione del costo del capitale le banche hanno avuto tempo per fare liste mirate delle imprese più piccole e più indebitate, che saranno ancora oggetto di continue riduzioni e revoche, perché tutte le banche oggi vedono con timore il rischio di nuove sofferenze.

Le imprese devono capire che neppure i tassi portati a livelli di due cifre sono sufficienti a coprire il costo di un rischio elevato. Tutti devono capire che il problema tocca una percentuale di PMI che sta tra il 30% e il 40%.

3) all’escalation dei costi contribuisce la sistematica richiesta da parte delle banche di garanzie -anche in sede di rinnovo dei fidi- da parte del Fondo di Garanzia (vedi il post recente) o dei Confidi i cui costi sono esplosi arrivando anche al 5% annuo, senza offrire particolari benefici sui tassi praticati alle imprese.

Ma la situazione dei Confidi è altrettanto esplosiva: il livello di perdite su crediti e lo sfruttamento delle banche nel dirottare i peggiori crediti verso i Confidi ha fatto sì che a un recente convegno il rappresentante dell’OCSE per le PMI, Salvatore Zecchini, abbia chiuso il suo intervento con questa frase ‘Illusorio ritenere che i Confidi possano portare a buon fine il processo di trasformazione in atto senza il sostegno della mano pubblica e delle banche’. Per le banche si tratta di rinunciare a escutere garanzie e quindi altre perdite.

4) anche in presenza di interventi pubblici (Fondo di Garanzia, CDP e cartolarizzazioni usate in BCE) le banche continueranno a traslocare laboriosamente il rischio di credito dalle imprese con rating elevati a quelle con rating bassi, peggiorando purtroppo la posizione finanziaria delle prime e spingendone diverse verso l’insolvenza. Il nuovo credito è destinato solo alle imprese che la banca ritiene completamente sicure, o completamente garantite.

5) per parecchio tempo la decisione a chi concedere il credito disponibile seguirà principi dettati da una logica binaria (bianco/nero, ’quelli che ce la fanno e quelli che non ce la fanno’, frase entrata nel gergo dei bancari) basata ancora sul famigerato rating e quindi su dati storici (bilanci) o andamentali (insoluti, tensioni…), lasciando poco spazio di manovra alle prospettive di quelle imprese che stanno operando faticosamente una virata (turnaround). Per fare in modo che il giudizio di credito da storico diventi prospettico occorrono anni di formazione e strumenti nuovi.

6) i mercati alternativi, o succedanei, come quello obbligazionario corporate (minibond) sono preclusi alle piccole e micro imprese e destinati a beneficiare imprese che problemi di credito non ne avevano neppure prima, oppure a casi un po’ anomali che giustificano cedole dell’8%.

Programmi di recupero dalla dipendenza da credito

La dura realtà è che circa 1/3 delle nostre PMI non devono cullare illusioni per il 2014, ma lavorare duramente a piani di sopravvivenza e di rilancio che possano fare gradualmente a meno dell’appoggio del credito delle banche, con uno sforzo di vera e propria disintossicazione da overdose di credito.

Perché su questo Patuelli ha ragione: le banche di credito ne hanno concesso troppo (e male) sino al 2011 e facendolo hanno diseducato i propri clienti e si sono assunte pesanti responsabilità nel gestire la crisi, pagando pure il conto delle sofferenze.

E’ su questi programmi di recupero che va posta l’attenzione, non su tamponi e garanzie statali che finiscono per beneficiare molto più le banche che non le imprese. Per salvare quanto più possibile del tessuto industriale italiano, delle filiere di subfornitura oggi in chiara difficoltà, occorre trovare tutte le formule possibili per agevolare il recupero della redditività, la ristrutturazione strategica e finanziaria delle imprese, l’accumulo del capitale che è l’unico vero sostituto di quella parte di credito che non tornerà più.

 

Autore del testo: F. Bolognini – Articolo ripreso da linkerblog.biz