Notizia dell’altro giorno, mentre in Europa e Usa si festeggiava quello che è stato definito un “magro Natale” ( e a buon diritto, visto il calo dei consumi spiegato anche nell’infografica de Linkiesta), è che l’economia brasiliana abbia superato quella britannica, attestandosi al sesto posto su scala mondiale: che il triangolo Rio, Sao Paulo e Brasilia fosse molto promettente non è la scoperta dell’acqua calda, visti i ritmi di crescita del Pil.
Quel che interessante è che il resto del Sud America sta seguendo il Brasile a ruota, almeno quando si parla di mercato del lusso: WWD riporta oggi le dichiarazioni di Danielle Zito, luxury consultant di Bain&Co., che, guardando al 2012, parla di una crescita pari al 20% per quanto riguarda il mercato del lusso in Brasile (il giro d’affari dei luxury goods si attesterebbe sui 3 miliardi di usd nel solo stato brasiliano). Messico e Argentina, però, cresceranno di più: rispettivamente del 22 e 30 per cento. Sempre secondo Zito, l’Argentina è il paese in cui, in proporzione rispetto alla popolazione, ci sono più persone disposte a spendere tra i 10mila e i 25mila usd.
Non male. Le griffes, intanto, si stanno attrezzando: Prada ha aperto la scorsa settimana la sua prima boutique a San Paolo, città nella quale esistono veri e propri templi dello shopping di lusso (come Daslu: con tanto di eliporto sul tetto); entro il 2013, secondo Carlos Ferreirinha, chief executive officer e fondatore di MCF Consultoria, 15 nuovi luxury brands di fama mondiale sbarcheranno in Brasile. Molti di più arriveranno sul mercato latino, adottando strategie di mercato ad hoc. In primis? Il logo. Se in Europa è passato di moda, in Sud America è uno status symbol.
L’obiettivo dei brand è quello di conquistare una fascia della popolazione in crescita e, soprattutto, disposta a spendere molto: i dazi per importare prodotti confezionati in America Latina rimangono molto alti, a favore delle maison dal logo ben noto e a discapito delle etichette di medio livello. I consumer che di solito rappresentano il riferimento per brand medi si rivolgono quasi sempre a marchi brasiliani: la middle class è un target importante a livello di numeri, ma difficile da conquistare.
Le stesse aziende brasiliane, come mi raccontava qualche mese fa Rafael Cervone, executive director di Textbrasil, programma di esportazione della moda brasiliana – in parte governativo – di cui fanno parte circa 1200 delle oltre 30mila aziende tessili di tutto il Brasile, stanno riscontrando diversi problemi: complice l’inflazione in crescita, il valore del Real che è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, i costi dell’energia elettrica e le normative fiscali arretrate, la produzione è diventata troppo costosa, riflettendosi ovviamente sui prezzi.
Le importazioni da paesi con manodopera a basso costo come la Cina stanno diventando l’ordine del giorno anche per il mercato brasiliano. Il timore? Quello di veder intaccato il percorso di sviluppo del settore moda, su cui il Brasile conta molto: oggi la moda vanta due milioni di addetti ai lavori e un giro d’affari che corrisponde a circa il 12% del prodotto interno lordo del Paese.
Chissà in che modo il lusso europeo andrà ad impattare su questo magma di imprese in via di sviluppo.
Articolo ripreso dal sito linkiesta.it