Incontriamo il prof.Fabio Verna presso la Fondazione Einaudi, economista con dirette esperienze maturate sui mercati finanziari, già docente di finanza aziendale in alcune università italiane, a Roma, dove ha appena presieduto una “tavola rotonda” nel corso della quale si è commentato il libro di Luigi Gentili “Lo shock politico”, che ha tra i temi conduttori quello del rapporto tra politica ed economia. Un rapporto sempre delicato e controverso, che in questi ultimi tempi sembra aver subito una sorta di rivoluzione.
Se infatti in passato il primato della politica era fuori discussione, oggi, nella società globalizzata, sembra che l’economia sia passata al primo posto. Ma è davvero così? E’ l’economia che ha preso il sopravvento e condiziona e subordina la politica alle proprie logiche, o non è piuttosto la finanza, che dilagando incontrollata usa l’economia reale come base o pretesto per le proprie speculazioni predatorie, e con esse soverchia e non raramente distrugge l’economia, ed allo stesso tempo subordina a sé la politica?
Vi sono teorici delle discipline economiche che sostengono da tempo che l’economia abbia invaso gli spazi di pertinenza della sfera politica. Io – concorda Verna- non sono completamente allineato su tali posizioni, poiché ritengo che questa invasione di campo, che effettivamente è in corso, sia stata messa in atto maggiormente dalla grande speculazione finanziaria internazionale piuttosto che dall’economia reale produttiva.
La dicotomia tra questi due mondi si è concretizzata con l’esplosione di due grandi bolle finanziarie. Se inizialmente la finanza svolgeva essenzialmente il ruolo di “benzina” del motore dell’industria, attualmente abbiamo assistito a quel che viene definito con un brutto neologismo come un processo di “finanziarizzazione” dell’economia reale. Le scelte strategiche di molti capitani d’industria si sono trasferite dalla realizzazione di beni e servizi di largo consumo alla gestione delle risorse finanziarie, ipotizzando che il denaro di per sé stesso, da solo, possa sempre e comunque generare altro denaro.
Se prendiamo in esame alcuni dati forniti dalla Banca Mondiale, vediamo che la sola massa monetaria rappresentata dal valore di emissione dei titoli cosiddetti “derivati” ammonta a 640 mila miliardi di dollari, a fronte di un prodotto interno lordo dei principali Paesi industrializzati del mondo che assomma a circa 70 mila miliardi di dollari, ovverosia a circa un decimo di quei prodotti finanziari, troppo spesso definiti “tossici” attualmente in circolazione, e la cui massa sembra crescere irrefrenabilmente.
E da queste sproporzioni che origina la predominanza della finanza sulla vita economica e sulla politica. Basti pensare che tra i circa quaranta Fondi sovrani attualmente operanti sul mercato mondiale ve ne sono alcuni che gestiscono mezzi finanziari di gran lunga superiori alla capacità di spesa di Paesi di dimensioni medio-piccole.
Cipro rischia il “default” per circa 10 miliardi di euro. I sette Fondi riconducibili agli Emirati del Golfo assommano tra loro una liquidità di circa 300 miliardi di dollari. Ed il primo tra tutti, il China Development Fund ha disponibilità liquide per circa 800 miliardi di dollari. Queste masse monetarie sono in grado di condizionare i governi di molte Nazioni. Dunque: è la finanza, piuttosto che l’economia reale,che incide oggi sulla politica, e spesso condiziona il ruolo.
D. Non solo usurpa il ruolo che spetta alla politica, ma a volte crea disastri economici che ricadono poi su intere Nazioni. Cosa si può fare per tutelare i mercati ed i risparmiatori da questa avidità predatrice?
R. Una risposta concreta non può provenire da un singolo Stato, e neppure da un insieme di Stati quale ad esempio è l’Unione Europea. Una delle caratteristiche della speculazione finanziaria internazionale sta infatti nella estrema mobilità, che rende di fatto inefficace ogni regolazione territorialmente limitata. E poiché l’operatività della finanza è ormai globale, oltreché in tempo immediato, la risposta per arginare la speculazione deve essere altrettanto globale. Molte Nazioni moderne sono già dotate di leggi specifiche e di organismi di controllo, che sono però facilmente aggirabili dagli speculatori che operano da paradisi fiscali o dai cosiddetti “Stati canaglia”.
D. Principali protagonisti della finanza internazionale, accanto agli investitori istituzionali, ai Fondi nelle loro differenti tipologie operative, sono anche le banche, che sono divenute tutte, sia pure in varia misura, banche d’investimento. E sono soprattutto le grandi banche ad essere oggi sotto accusa. I loro dirigenti guadagnano cifre astronomiche quando le loro spericolate speculazioni finanziarie vanno bene, e se vanno male le banche sono “too big to fail”, troppo grandi per poterle lasciar fallire, e così le perdite vengono scaricate sugli Stati, cioè sui cittadini. Per non parlare dei comportamenti truffaldini e penalmente rilevanti di cui sempre più spesso si occupano le cronache, comportamenti che hanno recentemente interessato alcune delle più blasonate banche internazionali. Cosa si può fare per porre fine a questo stato di cose?
R: Dobbiamo assolutamente tornare ad un sistema in cui il campo di gioco sia circoscritto con grande precisione. Le banche cosiddette “retail”, ossia quelle che si rivolgono ai risparmiatori per canalizzare il risparmio verso le imprese produttive, debbono essere nettamente separate dalle cosiddette “banche d’affari” che partecipano al gioco della speculazione. Liberissime queste ultime di lanciarsi nelle speculazioni più azzardate, ma a loro rischio e pericolo. Nella nostra Costituzione è scritto che la Repubblica tutela il risparmio, non i giochi speculativi. E’ stato un errore, in nome di una presunta modernità e di una malintesa libertà di mercato, sovvertire i principi della nostra vecchia legge bancaria del 1936, che separava le banche commerciali ed il credito a breve dagli Istituti speciali che erogavano credito a medio e lungo termine, per finanziare gli investimenti. La globalizzazione e la rete telematica, che consentono di operare in tempo reale 24 ore su 24, il moltiplicarsi di opachi“paradisi fiscali” in cui localizzare alcune operazioni, la diffusione sul mercato di strumenti finanziari sempre più complessi, sfornati senza sosta dalle “fabbriche” di prodotti di fatto solo cartacei, tutto ciò ha fatto esondare i confini della finanza, che continua a crescere senza sosta a detrimento dell’economia reale, che purtroppo in molti Paesi sta regredendo.
D. E’ dunque vero che la finanza, oltre ché a soverchiare la politica, sta finendo col distruggere l’economia, di cui dovrebbe invece essere il supporto? Ma se l’economia reale, l’economia vera, viene distrutta, quale spazio resterà poi alla finanza?
R. Le risponderò prendendo a prestito le parole di un famoso capo indiano della tribù dei Sioux: “Orso in piedi”, che due secoli or sono, dinnanzi allo strapotere dei “visi pallidi” disse: ”Dopo che l’uomo bianco avrà ucciso l’ultimo bisonte, sradicato l’ultimo albero ed inquinato l’acqua dell’ultimo fiume, gli rimarranno da mangiare solamente i suoi dollari”.
Articolo di Giorgio Vitangeli, ripreso da lafinanzasulweb.it