Il problema dei mutui subprime non finisce mai

Dopo anni passati in una discreta sonnolenza, negli ultimi tempi la vicenda dei mutui subprime sembra aver ridestato la giustizia americana. Gli sviluppi più recenti riguardano una causa in cui è coinvolta la super banca JP Morgan e una nuova indagine sulle tre sorelle del rating: Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch. Contro S&P, inoltre, la settimana scorsa il Dipartimento di Giustizia degli Usa ha aperto una causa civile.

Iniziamo da JP Morgan. Stando a quanto riporta il New York Times, sono emersi nuovi dettagli sulla causa intentata nel 2012 dal disgraziato istituto franco-belga Dexia, che accusa il colosso americano di avergli venduto 1,8 miliardi di titoli garantiti da mutui subprime mentendo spudoratamente sul reale valore di quei bond. In particolare, sono state depositate e-mail e trascrizioni di domande fatte ai dipendenti da cui emerge che Jp Morgan conosceva i problemi legati a quei prestiti per la casa.

Erano mutui ad alto rischio d’insolvenza (infatti per la maggior parte non sono stati ripagati) e questo significa che i derivati costruiti a partire da quelle operazioni non potevano essere che spazzatura. La Banca avrebbe però ritoccato i risultati delle sue analisi interne (alcune risalenti addirittura al 2006) in modo che i titoli apparissero in uno stato migliore di quello in cui erano.

Le accuse coinvolgono anche i due istituti rilevati da JP Morgan nel 2008, ovvero Washington Mutual e Bear Stearns. Per quanto assurdo possa sembrare, nelle tre banche alcuni dipendenti avevano potere di veto sui controlli interni. E pare che l’abbiano ampiamente usato per nascondere la verità, massimizzare i ricavi legati alla vendita dei titoli sul mercato e ridurre così le enormi perdite causate dal tonfo del mercato immobiliare.

JP Morgan ha finora negato di aver commesso violazioni, eppure lo scorso novembre ha acconsentito a pagare 296,9 milioni di dollari per chiudere la causa intentata dalla Sec (Securities and Exchange Commission, la Consob americana), che riteneva Bear Stearns colpevole di aver ingannato gli investitori dando informazioni false sui mutui più a rischio.

Un’altra accusa di questo tipo è arrivata nel marzo 2012 dalla società Assured Guaranty Corp, che – dopo aver perso oltre 75 milioni di dollari – ha deciso di denunciare Bear Stearns e la Emc Mortgage, ennesima controllata di JP Morgan.

Tutti questi bei giochetti non sarebbero mai riusciti se le banche non avessero potuto contare sull’aiuto di preziosi alleati, le agenzie di rating. Il loro peccato originale è ben noto: un classico e clamoroso conflitto d’interessi.

Queste società avrebbero infatti il compito di valutare l’affidabilità e il valore dei titoli finanziari (certi derivati sono talmente complessi che quasi nessuno è in grado di comprenderli con le proprie forze). Il servizio dovrebbe essere a favore degli investitori, peccato però che le agenzie vengano pagate dalle banche. Ossia da chi emette i titoli, non da chi li compra. Ecco perché Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch premiavano con il massimo dei voti (la tanto celebrata tripla A) la maleodorante spazzatura dei bond legati ai subprime.

Si spiega così la (tardiva) decisione del procuratore generale di New York, Eric Scheiderman, che la settimana scorsa ha avviato un’indagine sulle tre agenzie. Secondo il Wall Street Journal, Scheiderman intende esaminare i rating che le società hanno emesso durante la crisi, ma ancora non è chiaro se sarà in grado di procedere con un’azione legale.

Intanto, dopo S&P, sembra che l’amministrazione Obama (insieme a diversi stati) sia pronta ad agire anche contro Moody’s. Secondo le indiscrezioni riportate da Reuters, tuttavia, potrebbe volerci del tempo: prima di muoversi contro il secondo colosso del rating, le autorità potrebbero attendere di conoscere l’evoluzione in tribunale della causa contro Standard & Poor’s.

Ma lo stillicidio dei subprime non è finito. Tutto quello di cui abbiamo parlato finora accade a meno di due mesi dai mega patteggiamenti dello scorso dicembre, quando 10 delle maggiori banche americane hanno accettato di pagare 8,5 miliardi alle vittime dei pignoramenti facili, mentre la sola Bank of America ha chiuso un accordo per risarcire 11,6 miliardi all’agenzia para-governativa Fannie Mae.

Insomma, lo scandalo che nel 2008 ha travolto la finanza degli Stati Uniti, abbattendosi poi sull’intera economia mondiale, è ufficialmente tornato di moda. Purtroppo però sembra davvero che fin qui l’unica strada battuta con reale convinzione dall’amministrazione Obama sia quella del patteggiamento. Che – inevitabilmente – ha sempre il sapore dell’inciucio.
Fonte: altrenotizie.org