Il problema del credito visto dalla prospettiva di un banchiere

Chiunque abbia ancora la curiosità di sapere perché le banche fanno poco credito se vuole leggere un’opinione diversa può soffermarsi su questo intervento a cura di uno dei più anziani banchieri, Mario Sarcinelli, 79 anni oggi, ex funzionario della Banca d’Italia, ex ministro del tesoro, ex presidente della BNL e ancora oggi presidente di Dexia Crediop. L’intervento pubblicato su Europa Quotidiano con il titolo “Imprese senza credito, la via d’uscita” (che non sono sicuro sia quello usato da Sarcinelli) riprende un intervento a un seminario dell’AREL in gennaio a cui partecipò anche l’attuale primo ministro Letta.

Il sistema delle imprese, attraverso il rallentamento dei pagamenti, trasmette una pressione che, dopo avere assorbito le poche sacche di liquidità esistenti al proprio interno, necessariamente tende a scaricarsi all’esterno. Il primo soggetto su cui si fa assegnamento per alleviare la tensione è giustamente la banca, che ha proprio la funzione sociale di provvedere quella liquidità che permette al’economia di funzionare senza molti attriti. Purtroppo, il sistema bancario può essere esso stesso in condizioni critiche, ad esempio perché la raccolta cresce meno e/o il mercato dei fondi è diventato troppo caro, sicché la banca accomoda solo in parte o non accoglie affatto la richiesta di maggiori fidi.

La recessione, soprattutto se si prolunga nel tempo, finisce col decimare la popolazione delle imprese, in particolare quelle piccole, sotto-capitalizzate e sovra-indebitate; pertanto, la banca cui la Vigilanza impone di agire con prudenza sottopone a nuova valutazione il rischio che il cliente costituisce per essa e talvolta invece di accedere alla richiesta di maggior fido finisce col chiedere il rientro dei crediti in essere. Quando con il maggior credito si mette riparo all’altrui inadempienza, si fa un’operazione di carattere finanziario il cui buon fine dipende non solo dalla situazione patrimoniale dell’impresa richiedente e dalla qualità del credito finanziato, ma anche dalle prospettive di ripresa dell’economia. La banca, quindi, può alleviare in parte la pressione, ma dopo avere riesaminato l’affidabilità del cliente… Queste procedure sono mal tollerate da una clientela che a corto di liquidità vorrebbe vedere esaudite le proprie richieste con grande rapidità sulla base, ad esempio, del track record soltanto. La diatriba tra banche e clienti spesso inonda i media e contribuisce non poco a far apparire conflittuali rapporti che potrebbero essere di gran lunga migliori se ciascuna parte si rendesse meglio conto delle esigenze dell’altra. Quarant’anni fa non raggiunsi conclusioni diverse…

Un altro soggetto su cui tende a scaricarsi la pressione dovuta alla mancanza di liquidità è la pubblica amministrazione, nella sua veste di collettore di contributi e di imposte, addirittura senza la necessità di alcuna richiesta. Secondo le mie esperienze che risalgono, però, agli anni ’80 del secolo scorso, un fornitore automatico di liquidità era l’Inps e in minor misura anche l’amministrazione fiscale. In qual modo? Semplicemente attraverso il mancato pagamento delle somme dovute alle scadenze previste. Ovviamente, ciò è razionale se sono piuttosto lenti i tempi di reazione delle amministrazioni nel recuperare coattivamente ciò che ad esse è dovuto e soprattutto se non sono troppo pesanti gli interessi e le sanzioni per il ritardato pagamento. Nella misura in cui ciò si verifica, la pressione originatasi nel settore produttivo dell’economia è alleviata, sia pure temporaneamente e a un costo non irrilevante, “contagiando” la pubblica amministrazione.

V’è un terzo operatore sul quale si può fare assegnamento per mitigare gli effetti della scarsa liquidità. E questi è l’estero. Un’impresa di buone dimensioni e di solida reputazione può sempre far ricorso a banche estere o comunque a fonti estere per ottenere credito e allentare così la morsa in cui si trova. La spinta verso l’estero non riguarda soltanto la finanza sostitutiva di quella interna, ma può manifestarsi anche sul fronte commerciale. Un’impresa che sia specializzata in prodotti che hanno un mercato europeo o internazionale, con un marchio noto anche oltre i confini nazionali può re-indirizzare i suoi flussi mercantili verso i mercati esteri e fruire anche dei più brevi termini di pagamento rispetto alle prassi piuttosto incerte che prevalgono da noi anche quando la situazione di liquidità è normale. Con l’approvazione e con l’entrata in vigore di una direttiva dell’Unione sui termini di pagamento, fissati in 30 giorni, tra tutti gli operatori, v’è da augurarsi che l’Italia diventi europea nelle prassi di pagamento. Si applicherà questa normativa anche ai pagamenti pubblici? La risposta è affermativa en principe, almeno per le transazioni concluse dopo l’introduzione di questa norma.

E per quelle vecchie, non ancora saldate? Come è noto, i crediti verso la pubblica amministrazione per forniture di beni e servizi hanno raggiunto livelli elevatissimi; le cifre che vengono menzionate arrivano a superare i 100 miliardi di euro. L’idea iniziale del Ministro Passera di saldare questi debiti con l’emissione di titoli del debito pubblico non si è materializzata, vuoi per non far crescere ulteriormente il rapporto debito sovrano/Pil, già sotto la stretta sorveglianza di Brussels, vuoi per non far gonfiare di altri titoli pubblici i portafogli delle banche, poiché presso queste ultime le imprese avrebbero cercato di monetizzarli. Vi sono stati alcuni tentativi di dare una parziale soluzione attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, la certificazione dei crediti al fine di facilitare la loro bancabilità… Purtroppo, per lungo tempo lo Stato ha cercato di rispettare i limiti al disavanzo concordati a livello europeo manovrando la tesoreria, rallentando i pagamenti, rinviando ad altro esercizio ciò che è già dovuto in quello in corso… Quando alla crisi protratta della pubblica finanza si sono sommati gli effetti di due recessioni in un quinquennio, la situazione dei pagamenti pubblici alle imprese è diventata insostenibile ed ha oggettivamente aggravato la bassa congiuntura.

Spesso si legge che il “comportamento ottuso e ragionieristico” della banca impedisce la ripresa, non permette il finanziamento degli investimenti, frena l’espansione del capitale circolante, ecc. Purtroppo, non si riemerge da una lunga, forte recessione senza una riattivazione della domanda, pubblica, privata o estera; pompando soltanto credito, invece di re-innescare il circuito del reddito, si rischia di alimentare altre bolle sui mercati degli asset, simili a quelle che hanno precipitato l’economia occidentale in questa situazione. Inoltre, le banche che lavorano con il danaro dei depositanti e degli obbligazionisti debbono basare le proprie decisioni solo su dati, informazioni e “ragionamenti” che permettano di valutare il merito di credito non in astratto, ma nel contesto congiunturale. Spesso un’impresa si lamenta per non aver ottenuto il credito, che invece ritiene sia stato concesso a un concorrente; l’accusa che essa leva, di solito, è che quest’ultimo ha santi in paradiso che lo proteggono, meno frequentemente che la banca non sa discriminare correttamente nella concessione del credito. Ambedue le versioni dell’atto di imputazione sono psicologicamente comprensibili, ma nella normalità dei casi infondate. Tuttavia, con riferimento alla discriminazione del credito, forse, qualcosa di vero c’è; a mio avviso, essa è peggiorata per il fiorire di una grande varietà di consulenti di cui le banche si avvalgono, nonché delle scuole di management: alla valutazione del credito, fenomeno che prende a base una relazione interpersonale, si è sostituito fondamentalmente l’asettico concetto di rischio. Oggi coloro che si occupano dei crediti in una banca stanno chiusi nella loro stanza, trafficano con il computer aziendale, non vanno in giro per le imprese e applicano semplicemente dei modelli, che talvolta sono soltanto delle convenzioni.

V’è chi propone che il supervisore si sostituisca al banchiere in quest’opera di riscoperta dei vecchi metodi, di valutazione al grass-root level. Fatico davvero a immaginare che la Banca d’Italia vada in giro con i suoi ispettori a insegnare il mestiere di come si fa il credito, sono le scuole di management che devono ripensare a ciò che insegnano per evitare che il sistema si deteriori ulteriormente. Inoltre, non è immaginabile, come pure ho sentito, che vi sia un comitato per l’eutanasia delle piccole imprese, di quelle che accusando qualche difficoltà si ritiene, da parte dei fautori di una sorta di “eugenetica dell’impresa”, non abbiano più le potenzialità… Per cosa? Per crescere? Per innovare? O solo per sopravvivere?

Intervento tratto dal fascicolo dell’Arel “La stretta creditizia: problemi e opportunità”, 2013/1, a cura di Franco A. Grassini

Il difetto di questa dissertazione accademica è che è marcatamente sbilanciato a favore del sistema bancario, il quale risulta vittima dei pagamenti ritardati delle imprese, incompreso nella sua missione di dare credito solo a chi lo merita, ingiustamente accusato di dare denaro a volontà alla famiglia Ligresti, mentre lo toglie a tanti artigiani. E si arriva fino a dare la colpa (e ti pareva…) di questo stato terribile di incomprensione tra imprese e banche sul fronte del credito ai consulenti di cui le banche si avvalgono, come dire che i banchieri si sono affidati a giovani incompetenti a cui hanno lasciato libertà di commettere errori. E’ una vecchia tesi che chi conosce bene le banche sa non essere vera. Nel santa sanctorum dei crediti le società di consulenza hanno sempre messo poco il becco, mentre lo hanno fatto sui modelli organizzativi e sulla distribuzione dei prodotti. I consulenti hanno aiutato le banche a fare bene gli obbligatori modelli di rating, a cercare di dimensionare strutture e processi ma non sono mai entrati nella scatola nera del giudizio sul ‘merito di credito’.

Potrei demolire ogni singolo punto del ragionamento di Sarcinelli, terribilmente teorico e corporativo, cominciando dal ricordare che le imprese italiane sono sovraindebitate non a caso, ma perché le banche, durante la lunga stagione di liquidità e profitti, hanno permesso loro e spinto a fare debiti su debiti, quando nessuno in banca vedeva arrivare una crisi e una recessione inevitabile, quando si finanziavano le iniziative immobiliari con il 100% di debito e a volte anche il 120% per coprire l’IVA. Potrei ancora raccontare di tanti comportamenti ragionieristici sintanto che in banca peseranno più i tre bilanci passati dei tre bilanci futuri. Mi allineo però a Sarcinelli quando dice che chi si occupa dei crediti sta chiuso nel proprio ufficio e non gira per le imprese. Grande verità e grande spiegazione della crescita di incagli e sofferenze, però non è un alibi ma semmai una grave colpa.

Non vedo ricette e soluzioni nello scritto di Sarcinelli; quello di andare a finanziarsi dalla clientela estera è affascinante ma poco efficace visto che solo il 20% delle piccole imprese esporta. Quello di cambiare docenti nelle scuole di management è un’idea poco efficace se i docenti a loro volta non hanno mai visto in faccia un artigiano o un piccolo imprenditore e non ne comprendono limiti e difficoltà.

Le soluzioni sul credito sono difficili oggi, richiedono ingegno e partecipazione di tutti gli attori. Non ci sono scorciatoie.

Autore: citato e F. Bolognini – ripreso da linkerblog.biz