Da un lato della catena un centinaio di capsule prive di ogni scritta; dall’altro una serie di scatole perfettamente allineate ed etichettate; fra le due una decina di robot in acciaio con bracci articolati che inseriscono con attenzione i medicinali nei loro rispettivi imballaggi. Gli operai sono contenti, i test hanno dato dei risultati positivi. Le macchine sulle quali lavorano da mesi saranno ben presto consegnate al loro cliente indiano.
Nello stabilimento del gruppo italiano Marchesini, alla periferia sud di Bologna, i 700 dipendenti inventano macchine che imballeranno i medicinali di Novartis, Gsk e Sandoz. A 300 chilometri a nord di Roma, in Emilia Romagna, l’industria gira a pieno regime. Qui vengono concepite macchine automatizzate da una tonnellata che saranno spedite in Brasile, in Cina, in Sudafrica. “Siamo molto attivi nei paesi emergenti”, riconosce Guido Rossi, responsabile della comunicazione della Marchesini.
Nel cuore di un’Europa alle prese con delle misure di rigore che minano le sue capacità produttive, il successo industriale dell’Emilia Romagna non si spiega solo con le esportazioni mirate. “La forza dell’industria locale si basa anche su moltissime piccole imprese della regione, che creano una sorta di tessuto intorno a noi”, sostiene Massimo Marchesini, fondatore nel 1974 del gruppo omonimo. Secondo lui questa struttura di piccole e medie imprese molto unite fra di loro permette di ridurre gli effetti di una crisi economica globale.
Dopo l’arrivo al governo – poco più di un anno fa – di Mario Monti e della sua équipe di tecnocrati, “le prospettive a lungo termine dell’Italia [sono] migliorate”, osserva l’Ocse nelle sue previsione economiche pubblicate la scorsa settimana. La disoccupazione si riduce, i tassi di interesse dei titoli decennali sono al punto più basso dal 2010 e secondo gli analisti della banca Intesa Sanpaolo la produzione industriale è arrivata a una “stabilizzazione globale […] nel terzo trimestre, interrompendo la tendenza alla contrazione constatata durante tutto il corso dell’anno”.
Così, mentre in Europa gli annunci di chiusura di siti industriali si moltiplicano (Peugeot, Petroplus, Alcoa, ArcelorMittal, ecc.), la produzione di macchine da imballaggio in Emilia Romagna non conosce crisi. La concentrazione di imprese attive in questo settore è tale che la zona intorno a Bologna è stata ribattezzata “Packaging Valley”. Secondo uno studio delle banche locali Carisbo e Banca Monteparma, nel primo semestre 2012 questo settore presentava una crescita del 9 per cento rispetto al 2008. Fra il 2000 e il 2011 le esportazioni verso i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sono aumentate del 260,4 per cento.
In passato questo comparto industriale era molto attivo nel campo della seta. Oggi la sua energia si è concentra nell’inscatolamento del caffè, delle sigarette, dei cosmetici, della pasta e del tè. Nella periferia orientale della capitale del ragù, la fabbrica del gruppo Ima emana odori di erbe selvatiche. Camminando sui resti di sacchetti di tè, Daniele Vacchi, direttore della comunicazione del leader mondiale dei produttori di macchine per imballare bustine di tè e tisane, osserva che “il 2011 è stato l’anno migliore dei nostri ultimi 50 anni. E il 2012 batterà tutti i record. Da due anni a questa parte abbiamo troppo lavoro”. Del resto il numero di dipendenti è in crescita costante: da 3.129 nel 2010 si è arrivati oggi a 3.524.
“Il termine ‘Packaging Valley’ è un modo rapido per denominare qualcosa di complesso”, spiega Vacchi in un francese quasi perfetto. Anche lui pensa che “l’arma segreta” della regione vada cercata nelle relazioni fra le sue centinaia di piccole imprese. “Quando è arrivata la crisi, ci siamo aiutati e ci siamo dati fiducia a vicenda condividendo un tessuto di relazioni informali”, racconta questo cinquantenne sminuzzando una bustina di tè. “L’economia è sostenuta dalla regione, che possiede una forte cultura industriale. L’Italia è soffocata dalla crisi, ma l’Emilia Romagna resiste”.
Mentre in Francia il rapporto Gallois ha rilanciato di recente il dibattito sull’industria francese e il modello per l’Europa rimane sempre l’economia tedesca, l’alternativa rappresentata dal modello industriale italiano è troppo spesso trascurato. Qui gli stipendi sono più bassi che in Germania, ma gli oneri sociali portano il costo del lavoro a un livello simile. I sindacati locali dicono di temere la crisi e la minaccia di una precarizzazione della condizione degli operai (in particolare attraverso un aumento dei contratti a termine). Ma riconoscono che l’imballaggio “non conosce le stesse difficoltà” degli altri settori.
La buona forma dell’industria dell’Emilia Romagna ricorda che l’Italia possiede ancora delle risorse. E questo è il messaggio che vuole trasmettere un grande istituto bancario nelle stazioni di Bologna, Parma e Milano: “L’Italia merita ancora credito”.
Articolo ripreso dal blog presseurop.eu