Paul Graham è considerato “il filosofo delle startup”. Con un dottorato in filosofia e uno in informatica ad Harvard, ha trovato il tempo per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Firenze; fondare una startup poi venduta a Yahoo! per quasi 50 milioni di dollari; e infine, nel 2005 ha creato Y Combinator, il più famoso acceleratore del mondo. Un posto dove sono passate più di 600 startup, molte diventate dei successi globali.
Un anno fa ha lasciato il testimone di Y Combinator a Sam Altman, pur restando il principale riferimento dei ragazzi che passano da Mountain View per un consiglio.
Non a caso l’annuncio di Y Combinator di voler condurre una ricerca sul reddito minimo, segue di qualche giorno due post di Graham che hanno fatto molto discutere: nel primo si analizzano le cause crisi sociale attuale, le forze che spingono verso una frammentazione crescente; nel secondo si parla della ineguaglianza economica creata dalla tecnologia, startup comprese. “Se dovessi guardare le cose solo dal punto di vista della ineguaglianza economica, la dovrei smettere di dare consigli agli startupper su come avere successo, nessuno dovrebbe farlo. Ma le cose sono molto più complesse”.
Che legame c’è fra il progetto di ricerca annunciato da Sam Altman e le sue analisi sulla diseguaglianza economica che distrugge la nostra società?
“Probabilmente c’è, ma non posso dirlo con certezza. Ormai non sono più coinvolto con quello che fanno a Y Combinator ogni giorno”.
Il ragionamento che emerge pare questo: visto che la tecnologia crea una diseguaglianza crescente, il reddito minimo è l’unica soluzione per tenere impedire che una società si autodistrugga. E’ così?
“Io penso che i problemi fondamentali siano la povertà e la mancanza di mobilità sociale, non la povertà in sé. E per quanto il reddito minimo possa essere una buona idea, probabilmente non è l’unica strada che abbiamo davanti”.
Ogni rivoluzione industriale alla fine ha creato più posti di lavoro di quelli che sono andati perduti. Pensa che accadrà lo stesso adesso o ha anche lei la sensazione che in futuro non ci saranno abbastanza lavori per tutti e che dovremmo abituarci a convivere con un crescente tasso di disoccupazione?
“Io credo che il fatto che alla fine il saldo dei posti di lavoro sarà positivo, è uno schema così antico e consolidato, che l’onere della prova del contrario spetta a chiunque lo contesti. E io francamente non vedo perché dovrebbe accadere”.
Alla fine il reddito minimo non è una forma di socialismo? Possiamo quindi parlare di un Socialismo della Silicon Valley?
“Si tratta di un socialismo a metà. Il socialismo significa che a nessuno è consentito di diventare ricco e che nessuno sarà davvero povero. In questo caso vale solo la seconda parte della frase: nessun povero, ma con la possibilità intatta di diventare ricchi”.
Può apparire sorprendente che una discussione di questo tipo prenda corpo in America. E’ lo stesso sentimento sociale che sta spingendo la candidatura alla Casa Bianca del Democratico Bernie Sanders?
“Per me non è affatto una sorpresa. Gli Stati Uniti sono molto diversi. Sarebbe sorprendere sentire un repubblicano del Texas parlare di reddito minimo. Ma la Silicon Valley è diversa, è molto liberal”.
Parliamo di startup. Perché l’ineguaglianza economica che producono nel loro caso è positiva?
“Io non sostengo che sia positiva, quanto che è inevitabile. Chi dà vita ad una startup di successo, alla fine avrà un pacco di azioni che vale un mucchio di soldi. Spetta ai governi prendere misure forti per impedire che accada in maniera esagerata”.
C’è la sensazione che alcune startup, in particolare gli unicorni da un miliardo di dollari, abbiano raggiunto delle valutazioni esagerate e che siamo alla vigilia di una esplosione di questa bolla finanziaria. Dobbiamo prepararci al peggio?
“Chi investe in questo tipo di aziende, si aspetta che molte falliranno. E’ una delle leggi di questo mondo. Ma se tu investi in 5 startup, 4 falliscono e una cresce di 10 volte, tu hai comunque raddoppiato i tuoi soldi. Non c’è nulla di nuovo, è come funziona il mercato dei venture capitalist”.
Questo è il sogno più bello della Silicon Valley. L’ultima utopia dei giovani miliardari che ormai controllano il mondo con le loro piattaforme tecnologiche. Eliminare la povertà per tutti e per sempre, ma senza impedire – è questa la novità – la ricchezza crescente di pochi, dei migliori in un certo senso.
Articolo di R_Luna – ripreso da startupitalia.eu