Indignados a Wall Street il movimento di protesta cresce e diventa piu’ aggressivo

Per grande ironia, nel giorno di un grande crollo del mercato, le manifestazioni attorno a Wall Street si sono fatte piu’ numerose e sono state accompagnate da altre marce di protesta a Washington, Portland, persino Las Vegas. Per il momento la situazione e’ ancora sotto controllo e sono ancora frange minoritarie, ma siamo sicuri che anche ai piani alti di Wall Street un pizzico di preoccupazione e di riflessione su come impedire che la protesta si estenda si sta iniziando a creare.

I media italiani – in minor misura quelli europei – sono impazziti di gioia all’idea che gli indignados siano anche a Wall Street.

Si sprecano i paragoni tra i protestatari nel distretto finanziario di New York e quelli di piazza Tahrir al Cairo, si inneggia al fatto che il cuore pulsante del malandato capitalismo finanziario mondiale registri finalmente grida come quelle riservate a Mubarak, Assad, Gheddafi o Ben Alì. Lasciamo perdere poi la ventata d’indignazione quando la polizia di New York, violato l’impegno da parte dei manifestanti di continuare a stare sui marciapiedi per non intralciare il traffico, ha per ore arrestato tutti coloro che trasgredivano. Manco si trattasse delle botte al G8 di Genova! Mentre a New York in caso di intralcio al traffico si viene fermati sì dalla polizia, ma rilasciati dopo poco con un biglietto pubblico di ammenda, che attesta la tua violazione e che resta nell’archivio che ti riguarda, dovesse far precedente a reati più seri della mera contestazione amministrativa. Per quel che conosco dell’America e di Nerw York, mi pare che l’enfasi di questi echi mediatici italo-europei scambi – capita spesso – ciò che si vede con ciò che si vorrebbe. Magari più avanti verrò smentito.

Ma per il momento chiunque abbia girato con telecamere e notes tra i manifestanti a Wall Street ha documentato la classica somma iperindividualista e non coordinata delle fasce estreme di contestazione antisistema, che nel mondo politico americano non trovano praticamente espressione.

Sostenitori dell’aliquota fiscale al 90% per i ricchi, nazionalizzatori di banche e finanziarie, abolizionisti non solo degli hedge fund ma pressoché di qualunque fondo d’investimento, altre consimili amenità. Naturalmente molti disoccupati vittime della crisi, e su questo c’è poco da ridere, in America come da noi. Mi è scappato da ridere vedendo nei filmati un manifestante che inalbera fiero il cartello “End the Fed!”: non so quanti capiscano al volo che si tratta senza dubbio di un iperlibertario e non di un comunista, visto che è il titolo del libro-manifesto di quell’ipermercatista di Ron Paul, che al Congresso presiede il comitato finanziario, sparando a zero contro gli eccessi del pubblico che gli indignados invocano.

Nicholas Kristof, editorialista liberal del New York Times e solidale con la protesta, dopo aver intervistato marciatori e attendati ha dovuto anch’egli ammettere sconsolato che tra loro non c’è al momento neanche l’ombra di un coordinamento rappresentativo, né un obiettivo credibile. Tant’è che nel videoditoriale  sul sito del giornale ci pensa lui, a dettare le priorità al movimento.La Tobin Taxsulle transazioni finanziarie che la buona Europa lei sì che pensa di introdurre, mentre Obama è contrario. L’abolizione degli sgravi ai dividendi azionari, che interessano oltre il 50% dei contribuenti americani e sostengono l’investimento di massa nel mercato finanziario ma sono odiosi a chi ha solo redditi da lavoro. L’abolizione delle agevolazioni d’imponibile per i gruppi multinazionali e per i fondi finanziari che operano all’estero. Più regolazione sul mondo finanziario e  bancario, ma non scritta dai fat cats delle banche d’affari, ancora una volta determinanti nella riforma approvata sotto Obama.

Lo scrittore Gay Talese ha solluccherato i nostri corrispondenti, dichiarando che lo scandalo vero è che i grandi giornali americani non si mettano alla testa della protesta come invece grazie a Dio capita in Europa, perché negli States sono troppo sensibili alle ragioni della business community.    Ma è anche questa un’esagerazione, visto che pure qui da noi non è che i grandi giornali siano in mano ai no global.

Le pillole che ricavo della protesta a Wall Street sono tre. Primo: al momento, nulla mette in discussione che la vera reazione di massa alla crisi finanziaria sia stata in America quella dei Tea Parties. Una reazione agli eccessi di mano pubblica come risposta alla crisi, però. E tanto forte e coordinata malgrado fosse popolare e fuori dai partiti da modificare in profondità profilo e fisionomia dei candidati repubblicani. Naturalmente, tutte cose che non esaltano i media europei. Secondo: i guai del modello d’intermediazione finanziaria “tuttodebito” restano eccome, ed è un segno pauroso dell’inadeguatezza della govenrance euro-americana, a 50 mesi dall’inizio della crisi sui mercati a giugno2007, a3 anni dal crac Lehman, a 2 anni dalle elezioni greche.

Ma obiettivamente – terza pillola –  quei guai e i loro rimedi auspicabili son cosa molto diversa dal più tasse e più spesa pubblica invocati dagli ipersemplificatori di tutti i continenti, siano essi militanti politici e sindacali come in Europa, o cani sciolti come in America.

Articolo parzialmente ripreso da Panorama Economy