Come saprete, c’è un gran dibattito sull’Argentina e sulle sue scelte di politica economica. Ricorderete sicuramente che il Paese nel 2001-02 ha dichiarato default sul suo debito pubblico, dando non pochi problemi anche agli investitori italiani, con quelli che furono battezzati i “Tango Bond“.
Su Twitter ci capita spesso di prendere parte a discussioni tra chi eleva il caso argentino all’esempio che molti Paesi del sud Europa dovrebbero seguire e chi, al contrario, considera questa poltica economica completamente fallimentare.
Proviamo ad analizzare la situazione con occhio analitico, cercando di capire che cosa è accaduto e quali sono i rischi cui va incontro l’economia del Paese. Proverò a dividere in tre periodi la storia recente dell’Argentina.
Periodo 2001-2002: scoppia la crisi economica
Nel 2001-02, come molti di voi ricorderanno, l’Argentina vive una triplice crisi: del settore finanziario, della bilancia dei pagamenti e del debito pubblico. La situazione economica del Paese è la seguente:
- crollo del regime di “currency board” (cambio fisso 1 peso = 1 dollaro) e conseguente svalutazione del peso;
- default dei titoli di Stato;
- collasso del sistema bancario.
Periodo 2002-2006: il successo economico
Alla Casa Rosada (la residenza presidenziale argentina) sale Nestor Kirchner e inizia un periodo di crescita folgorante favorita, secondo alcuni economisti, da un tasso di cambio mantenuto stabile e competitivo:
- l’Argentina conosce una rapida crescita economica, il PIL registra una performance del +8% all’anno;
- il tasso di disoccupazione si riduce di circa il 49%, mentre la povertà registra un calo dal 58% al 28%;
- il grado di apertura del Paese al commercio estero risulta elevato.
Periodo 2007- 2013: la trappola della stagflazione
Nell’anno 2007, quando il Governo manipola dapprima l’indice dei prezzi al consumo e poi altre statistiche ufficiali, inizia il declino economico.
- Il Governo decide di adottare ricette di politica economica di tipo espansivo per cercare di conservare il tasso di crescita economica precedente, a fronte di tensioni fisiologiche sui prezzi interni e dei primi segnali della crisi nel 2007, poi divenuta sistemica.
- L’inflazione aumenta ed il Governo cerca di contenere il fenomeno abbandonando la politica del cambio accomodante, adottando una politica del cambio forte.
- A fine 2011 l’Argentina si trova a vivere una grave stagflazione. Il tasso d’inflazione oscilla tra il 20% e il 25% all’anno (dato occultato dalle statistiche ufficiali, non rappresentato nel grafico), la perdita di competitività delle merci argentine sui mercati internazionali, secondo la variazione del tasso di cambio reale, si aggira intorno al 38%.
- Il rapido apprezzamento del cambio reale (considerato sopravvalutato), insieme alle aspettative di una svalutazione (o correzione) dopo le elezioni presidenziali dell’ottobre 2011, generano una corsa agli sportelli presso la Banca Centrale Argentina che porta ad un progressivo impoverimento delle riserve ufficiali.
- Il Governo, a causa degli effetti impopolari che una svalutazione del cambio comporterebbe, in termini di aumento dell’inflazione e riduzione dell’occupazione, decide di frenare l’eccesso di domanda di dollari USA imponendo controlli diretti sulle importazioni e sugli acquisti di valuta estera ai fini d’investimento finanziario. Risultato: si aggravano gli squilibri economici del Paese, si sviluppa il mercato nero del cambio, con effetti ulteriormente depressivi sull’economia e riduzione delle riserve ufficiali.
Quali sono i rischi che corre l’Argentina?
In breve: una crisi valutaria.
Nel momento in cui le riserve ufficiali finiranno, la Banca Centrale dell’Argentina sarà costretta a svalutare il cambio. Come altre crisi dell’America Latina, la forte svalutazione del cambio rispetto ad un ipotetico valore di equilibrio (c.d. overshooting) avrebbe come effetto un crollo dell’attività economica e un forte aumento dell’inflazione.
La lezione argentina per il dibattito sull’euro: alcune riflessioni finali
Ciò che noi Europei possiamo imparare dal caso argentino è che il regime di cambi fissi può essere messo in discussione.
Adottare un regime di cambi flessibili può contribuire alla crescita economica. Tuttavia, i benefici possono cedere il passo ai costi se lo sganciamento dal cambio fisso (insostenibile) non è gestito correttamente. Esattamente ciò che è avvenuto nel Paese sudamericano dove, secondo molti osservatori, sono state condotte politiche macroeconomiche sbagliate.
Articolo di Pasquale Rossi, ripreso dal sito adviseonly.com
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