L’Europa sta per cambiare. L’attuale crisi finanziaria avrà avuto il merito di rivelare le debolezze del programma e farlo procedere rapidamente come negli anni ottanta, quando godeva della spinta della troika formata da Mitterrand, Kohl e Delors.
Uno a uno i dogmi fondanti del trattato di Maastricht stanno venendo meno. L’euro non è più intoccabile. Oggi è addirittura ipotizzabile uscire dalla zona euro, temporaneamente o definitivamente.
La Banca centrale europea ha sostenuto la moneta unica tenendo a bada l’inflazione, ma Jean-Claude Trichet non ha esitato ad affrancarsi dall’ortodossia rilevando vari miliardi di debiti sovrani degli stati in difficoltà.
Ma c’è di più: ora la sua indipendenza potrebbe essere rimessa in discussione. Da alcuni mesi si parla della creazione di una struttura europea per la governance economica. Il presidente Herman Van Rompuy ci sta lavorando con l’appoggio della Francia e dovrà illustrare le sue proposte in occasione del prossimo summit europeo, tra due settimane.
Nel frattempo la Commissione di José Manuel Durão Barroso, un tempo emblema dell’ideale federalista, spicca in questa crisi per la sua assenza. Le decisioni si prendono senza di essa, anche se Barroso tenta di riconquistare terreno facendo sua la questione degli eurobond o quella della trasformazione del fondo salva-stati Efsf in Fondo monetario europeo.
Si parla addirittura dell’ipotesi di un nuovo trattato, di una federazione di stati nazione o di un’Europa a due o tre velocità, e a evocare queste possibilità sono proprio i più europeisti.
È tornata la mentalità intergovernativa. I capi di stato reggono il timone della nave europea, guidati dal duo fondatore franco-tedesco. Purtroppo esso funziona male, come abbiamo già avuto modo di constatare: la sua visione è a volte mediatica, altre contabile, raramente storica. E tuttavia ecco l’occasione per reinventare l’Europa.
Articolo ripreso da presseurop.eu