Oggi la Cina è a un punto cruciale, proprio come nel 1978 quando le riforme del mercato lanciate da Deng Xiaoping aprirono l’economia cinese al mondo, e anche come all’inizio degli anni ’90 quando il famoso “tour della Cina del sud” di Deng riaffermò il percorso di sviluppo del paese.
In tutto questo tempo, gli esempi e le lezioni derivate da altri paesi sono state molto importanti. Si dice che Deng sia stato sostanzialmente influenzato da una sua visita a Singapore, dove crescita accelerata e prosperità erano arrivate decenni prima. La comprensione dei successi e delle lacune degli altri paesi in via di sviluppo è stata, e rimane, un aspetto fondamentale dell’approccio cinese al delineamento della sua strategia di crescita.
Nei primi decenni di crescita moderna, la Cina ha avuto un governo monopartitico proprio come Singapore, il Giappone, la Corea del Sud e Taiwan. Mentre il Partito d’azione popolare (Pap) di Singapore continua ad essere predominante pur essendoci, sembrerebbe, dei cambiamenti in corso, gli altri paesi si sono invece trasformati in delle democrazie multipartitiche durante la fase di transizione del reddito medio. La Cina ha ora raggiunto l’ultima fase critica di questo lungo percorso mirato ad ottenere lo status di paese avanzato in termini di struttura economica e livello di reddito.
Nonostante le sue dimensioni inferiori, Singapore deve continuare ad essere un modello per la Cina. Il successo di entrambi i paesi dipende infatti da una serie di fattori che vi hanno contribuito, tra cui un gruppo esperto e istruito di policymaker sostenuto da un sistema di selezione meritocratico e da un approccio pragmatico, disciplinato, sperimentale e lungimirante alla politica.
L’altra lezione chiave che proviene da Singapore è data dal fatto che il governo monopartitico sia riuscito a mantenere la legittimità popolare offrendo opportunità di crescita e uguaglianza in una società multietnica, ed eliminando ogni forma di corruzione compreso il clientelismo e l’influenza eccessiva degli interessi personali. Ciò che avevano compreso sia Lee Kwan Yew, fondatore di Singapore, che i suoi colleghi e i suoi successori, è che la combinazione tra un governo monopartitico e la corruzione è altamente nociva. Se si vuole beneficiare dei vantaggi di un governo monopartitico, non si può dare spazio alla corruzione.
Coerenza, prospettive di lungo termine, incentivi adeguati, forti capacità di “esplorazione” e risolutezza sono caratteristiche auspicabili per la continuità della governance, in particolar modo in un sistema meritocratico che si trova a gestire modifiche strutturali complesse. Al fine di proteggere la continuità della governance e di mantenere il sostegno pubblico agli investimenti e alle politiche di sostegno alla crescita, Singapore ha dovuto necessariamente evitare che la corruzione prendesse piede e ha dovuto altresì implementare le norme in modo coerente. Lee è riuscito nell’intento, grazie anche al sostegno del Pap che ha provveduto a fornire tutto ciò che un sistema formale di responsabilità pubblica dovrebbe assicurare.
Anche la Cina tenderebbe a voler mantenere, almeno per un po’, i benefici di un governo monopartitico e a ritardare quindi la transizione verso una governance “più caotica” ed influenzata da una molteplicità di voci. Tuttavia, un sistema pluralistico sta in realtà già emergendo sotto l’egida del Partito comunista cinese, un procedimento che potrebbe portare i cittadini ad acquisire una voce istituzionalizzata all’interno della politica pubblica.
Per ora, tuttavia, gli elementi rappresentativi che sono stati aggiunti in maniera esponenziale non sono abbastanza solidi da superare l’onda crescente di corruzione e l’eccessiva influenza degli interessi personali. Per mantenere la legittimità monopartitica, e quindi la possibilità di governare, gli interessi più settoriali dovrebbero essere superati a favore dell’interesse generale. Questa è la sfida che la nuova leadership cinese si trova ad affrontare.
Se i leader cinesi avranno successo, potranno promuovere un dibattito ragionato e modulato sul ruolo, in costante evoluzione, dello stato dell’economia e sui meriti. Molti degli addetti ai lavori e dei consulenti esterni credono che il ruolo dello stato debba cambiare (e non necessariamente regredire) per creare l’economia dinamica ed innovativa essenziale al fine di gestire con successo la transizione verso il reddito medio. Rimangono tuttavia diverse aree sulle quali è ancora necessario discutere e fare delle scelte.
Lee Kwan Yew a Singapore e Deng in Cina hanno conquistato la fiducia dei loro popoli come fondatori e primi riformisti. Ma questa fiducia appassisce con il tempo e le generazioni dei leader che si succedono non la ereditano automaticamente e devono, quindi, guadagnarsela. Ragione in più per prestare più attenzione alle lezioni della storia.
I nuovi leader cinesi dovrebbero innanzitutto ristabilire il ruolo del partito come difensore dell’interesse generale, creando un ambiente in cui gli interessi di settore, che mirano a proteggere la loro crescente influenza e ricchezza, non influiscano sulle scelte politiche complesse. Devono dimostrare che il potere, la legittimità del Partito e i beni sostanziali vengono gestiti a beneficio di tutti i cittadini cinesi soprattutto attraverso la promozione di un modello di crescita inclusiva e di un sistema di pari opportunità con basi meritocratiche. E dovrebbero infine tornare al compito di governare in un contesto globale e allo stesso tempo internamente complesso.
Ci sono tempi in cui l’approccio del “cavarsela alla meglio” (o come dicono i cinesi dell’ “attraversare il fiume sentendo i sassi”) è la miglior strategia di governo, e ci sono tempi che richiedono invece una revisione ardita dei valori e della direzione da prendere. I leader di successo sanno riconoscere in quale dei due contesti si trovano ad operare.
“Sentire i sassi” potrebbe sembrare l’opzione più sicura per il prossimo presidente, Xi Jinping, e gli altri nuovi leader della Cina, ma, di fatto, è la più pericolosa. L’unica opzione sicura è un riallineamento radicale del Partito rispetto all’interesse generale del paese.
Il punto è se i riformisti che sostengono il vero spirito della rivoluzione del ’49 riusciranno a vincere la battaglia a favore di una crescita inclusiva ed equa. La prospettiva ottimista (e, a mio avviso, reale) è che il popolo cinese abbia un peso sempre maggiore, attraverso modalità diverse compresi i media sociali, spingendo in tal modo i riformisti a portare avanti un’agenda innovativa.
Solo il tempo potrà dire quello che succederà. Ma è difficile sopravvalutare l’importanza del risultato di queste scelte agli occhi del resto del mondo. Quasi tutti i paesi in via di sviluppo (e, sempre di più, anche i paesi avanzati) ne saranno influenzati in un modo o nell’altro, mentre tentano con difficoltà di ottenere una crescita stabile e sostenibile e dei modelli di occupazione funzionanti.
Articolo ripreso dal sito finanzaediritto.it