La competitivitá dei paesi dipende dalle caratteristiche delle loro imprese. Gran banalità penserà qualcuno. Sará, peccato che molti dei ragionamenti di politica economica su come rafforzare la competitivitá o su come ridurre gli squilibri di bilancia commerciale si basino su una rappresentazione media del sistema produttivo.
In altri termini le caratteristiche media di un’impresa in un determinato settore sono considerate statistiche adeguate e sufficienti per caratterizzare quel settore e quel paese, le sue virtù e le sue debolezze. Un esempio, l’enfasi che la Commissione europea assegna al costo del lavoro per unitá di prodotto medio, uno degli indicatori monitorati per eventualmente sanzionare i paesi che non sono in grado di mantenerne le variazioni nell’ambito di soglie predefinite. Il che, in altri termini, significa dire che il costo del lavoro medio per il settore abbigliamento in Italia vale sia per Armani e Prada come per un piccola azienda di confezioni, in Brianza, in Puglia o dove volete voi.
La competitivitá di un paese non é riflessa solo nelle sue caratteristiche medie, ma in realtá anche e soprattutto dall’eterogeneità che compone quelle medie, ossia dal fatto che Armani conviva con l’azienda di confezioni brianzole e le due siano molto diverse tra loro.
Ora, l’importanza di comprendere le caratteristiche dei sistemi produttivi nel loro complesso, non solo in termini medi, inizia ad essere chiaramente recepita anche dai policy makers europei che per mandato si occupano di questioni macroeconomiche. La Banca centrale europea ha lanciato tre anni fa un network di ricerca (Compnet), coordinato da Filippo di Mauro, che ha coinvolto alcuni tra i principali economisti internazionali europei e americani, proprio per capire come le caratteristiche microeconomiche dei paesi influenzino la loro performance macroeconomica. Nei giorni scorsi si é tenuta a Francoforte la conferenza conclusiva di Compnet dove é stato presentato il rapporto finale di sintesi del network ed una miniera di nuovi risultati che confermano come nella competitivitá dei paesi si nascondano un’infinità di minute e spesso non misurate caratteristiche del loro sistema produttivo.
Un esempio é l’identificazione e misurazione delle catene globali del valore, che ha permesso negli ultimi anni di capire che la ricchezza industriale di un paese non é misurata dal valore lordo delle esportazioni, bensí dal valore aggiunto nazionale che queste contengono, dopo avere incorporato input stranieri che derivano da catene del valore che sono sempre più globali. Banalmente, la ricchezza che le esportazioni sono in grado di generare in un paese dipende da un lato da quanto viene prodotto localmente, ma anche dalla capacitá del sistema produttivo di inserirsi in una ragnatela internazionale di fornitori e clienti.
Altro tema fondamentale che il network ha chiaramente identificato é quello dell’efficienza allocativa. Che significa? Se c’é una grande eterogeneitá nel livello di produttivitá delle imprese in uno stesso settore, la competitivitá di un paese dipende moltissimo da se e quanto rapidamente le imprese piú efficienti guadagnino quote di mercato rispetto a quelle meno efficienti. L’evidenza di Compnet dimostra che questo processo di trasferimento delle risorse dai migliori ai peggiori vari moltissimo tra paesi europei, e che il nostro paese é un dei più statici da questo punto di vista, come ha anche ricordato il Governatore della Banca d’Italia in occasione delle sue ultime Considerazioni Finali. Qui emerge in modo cruciale il nodo delle riforme strutturali. L’efficienza allocativa, infatti, é profondamente ostacolata dalle frizioni, la sabbia che sistemi di regole incerti e complessi introducono nei mercati. Da questo punto di vista riforme come il jobs act italiano hanno precisamente lo scopo di togliere sabbia dagli ingranaggi e di permettere al principale fattore produttivo di qualunque sistema economico, il lavoro, di spostarsi dalle imprese poco efficienti e in crisi verso le migliori.
Mario Draghi stesso, che non perde occasione per ricordare ai governi europei l’importanza delle riforme strutturali, ha fondato la sua argomentazione proprio sulla fortissima dispersione di produttivitá tra imprese in ogni paese europeo e sull’evidenza che queste dispersioni sono molto diverse tra i paesi dell’area dell’euro.
L’attuazione delle riforme strutturali, ha insistito Draghi, è complementare alle misure di politica monetaria per produrre una maggiore crescita. Insomma, per rilanciare la crescita europea bisogna capire bene come funzionano e che caratteristiche hanno i suoi principali cavalli da corsa: le imprese.
Testo ripreso dal blog “Gli Squali di Wall Street” su Blogspot.com