In ordine sparso e con intenti ancora più differenti, a vario titolo, sia oltre oceano sia soprattutto dalle nostre parti europee, il tema del rilancio dell’economia mediante la crescita, e dunque di fatto dell’occupazione in caduta libera in tutto l’Occidente, inizia a destare qualche atteggiamento che ha dell’isterico.
Ministri dei vari Paesi che di fatto si bacchettano a vicenda, bracci di ferro tra i (pochi) poteri locali e quelli centrali, e istituzioni economico finanziarie internazionali che appaiono non avere le idee più molto chiare su come risolvere una situazione in degrado continuo fanno presagire più di qualcosa.
Ciò che si percepisce, se si riesce a leggere tra le righe dei vari comunicati e dei resoconti di tanti incontri bi o multilaterali che stanno avvenendo in ogni luogo, è una ormai conclamata preoccupazione sullo stato di avanzamento della crisi. Anche ai piani alti. Il che fa scaturire poi proposte – o proteste – o ammonimenti di vario tipo su come si dovrebbe, o quanto meno sul fatto che si deve comunque in qualche modo, tentare di risollevare le sorti di una economia occidentale finita stabilmente in una sacca di depressione senza via d’uscita.
In ambito europeo si parla ormai frequentemente di un allentamento delle misure di austerità e di interventi per favorire l’occupazione e la crescita – qualunque essi siano, visto che per il momento non ci sono le specifiche di uno solo di questi interventi – e la cosa porta con sé le ovvie conseguenze relative alla differenza delle posizioni dei vari Paesi in campo. Come dire: se questi interventi devono esserci, ebbene non tutti i Paesi sono d’accordo su quali essi debbano essere e soprattutto non tutti sono certi che tali interventi possano essere messi in campo senza cambiare radicalmente la natura dell’Unione europea stessa. E dunque ci si chiede da più parti – soprattutto in Germania – se sia o meno il caso di iniziare seriamente a riflettere su come uscire dal mostro economico e giuridico dell’Ue attuale. Con le conseguenze ulteriori che ovviamente ci saranno. Siamo un procinto di una Caporetto?
Ma ciò che è più importante è il dato di fondo. È ormai evidente che tutti si siano resi conto, né più né meno, di quello che alcuni (pochi) sostengono da sempre nella derisione di tutti gli altri ma che oggi, invece, sta puntualmente accadendo: la festa è finita. Per il semplice motivo che con questo meccanismo, essa non può più continuare ad andare avanti.
In altre parole, ha sintetizzato che meglio non si potrebbe proprio Krugman qualche giorno addietro: o si inonda la società di moneta, sebbene creata dal nulla, oppure non c’è modo per andare avanti. Un modo tutto sommato apparentemente elegante, sebbene in realtà piuttosto ridicolo, per confermare, ove ce ne fosse bisogno, l’assunto alla base del nostro sistema di sviluppo: i punti di fondo sul quale esso era (ed è) basato sono semplicemente sbagliati, e ora i nodi sono arrivati al pettine.
Il fatto che, dall’inizio della crisi ai giorni nostri, in pratica l’unico sistema utilizzato per fronteggiare la situazione sia stato quello di inondare il mondo di liquidità creata dal nulla, è in fin dei conti la prova del nove del tutto. Se per far continuare a reggere in piedi tutto il meccanismo si deve ricorrere a un gioco di prestigio che non ha alcun fondamento economico (né propriamente liberista né tanto meno economicista) ciò significa che tutto è già di fatto crollato da tempo.
È come se uno, in un casinò, avendo perso tutto al tavolo non possa fare altro che andare alla cassa e richiedere altre fiches. E che la cassa, pur non ricevendo nulla in cambio delle fiches, decidesse ogni volta di prenderne un po’ e di darne allo sprovveduto giocatore per la sola motivazione che, se così non facesse, allora sarebbe tutto il casinò a dover essere chiuso. Non è neanche un paradosso, e siamo già ben oltre qualcosa che può essere definita come illusione: sembra un film (comico) di fantascienza. E invece è la realtà.
Ma la situazione generale si è spinta ben oltre. Sino a questo momento, quasi ogni operazione di creazione di denaro dal nulla (Quantitative Easing o Long Term Refinancing Operation che sia) è stata “venduta” all’opinione pubblica come misura necessaria ed evidentemente applicabile, dunque non del tutto fuori della mera logica come invece è. Ma allo stesso tempo, inoltre, è stata effettuata scaricandone gli effetti, molto più reali questa volta rispetto alla creazione virtuale di moneta, in modo diretto o molto più spesso in modo indiretto, sulle popolazioni. Le varie misure di austerità, i prelievi, l’abbattimento del welfare, dei salari, dell’occupazione e di condizioni accettabili di lavoro ne sono alcuni esempi. O l’aumento degli interessi da pagare sui titoli di Stato sui quali i beneficiari dello spargimento di moneta (soprattutto le Banche) hanno speculato ne sono un altro. Ma l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Senonché, e siamo all’epilogo che sta spingendo la situazione verso le proposte isteriche cui facevamo accenno poc’anzi, ora si sta arrivando a una nuova fase della crisi: in giro non c’è proprio più denaro. Nelle tasche dei cittadini ce ne è sempre meno, e questi, sempre in numero maggiore privati del lavoro per poter avere potere d’acquisto, per continuare a consumare almeno un livello minimo di sopravvivenza per tutta la megamacchina consumistica sul quale si regge il nostro modello, si comportano di conseguenza. La macchina si sta inceppando del tutto.
In altre parole, siamo al punto che non basta neanche più creare moneta dal nulla e concederla solo alle Banche. Stringi la corda oggi attorno alle popolazioni e stringila ancora di più domani, a un certo punto non rimane più fiato neanche per muovere un passo. E i dati economici si stanno premurando di confermare il tutto: disoccupazione in aumento ed economia in caduta libera. Costantemente. Aziende che chiudono e Stati che incassano meno e dunque si indebitano di più senza alcuna possibilità di ripagare i debiti contratti. Il sistema è, insomma, in un vicolo cieco ineludibile. Di qui, appunto, gli approcci non convenzionali che vengono ipotizzati per tentare di risolvere la situazione e che vengono fuori di tanto in tanto da qualche dichiarazione o da qualche summit.
Per ora nulla di fatto e nulla di deciso, beninteso, ma insomma lo stato di emergenza e urgenza, anche da parte di chi deve decidere il da farsi, è evidente.
La coperta è insomma cortissima, e ci si sta accorgendo che le pezze messe qua e là non sono sufficienti, in ogni caso.
Cosa aspettarsi? Da una situazione da “ultimo anno” ci si può aspettare veramente di tutto. Soprattutto, di tutto rispetto a quanto era ed è possibile immaginare da un modello che si è invece comportato sempre e solo a senso unico. Abbiamo già tanti esempi in tal senso: dallo spostamento dei termini temporali per raggiungere il pareggio di bilancio concessi a tanti Paesi al caso Cipro. Dal denaro a pioggia concesso alle Banche all’emergere di nuove monete (ad esempio il BitCoin, la moneta diffusa via internet con delle incognite enormi). Dall’impazzire illogico dei mercati delle commodities alle guerre valutarie in corso. Abbiamo banche centrali, soprattuto negli Stati Uniti e in Giappone, che frullano denaro in quantità abnorme per sostenere economie in asfissia e per andare a depredare altri Paesi, anche in Europa, senza che questi, almeno sino a ora, muovano un dito per opporre resistenza. E abbiamo rabbia popolare montante ovunque.
L’ipotesi più probabile è quella che sosteniamo da qualche mese: aspettiamoci, a livello europeo, delle concessioni fuori dall’ordinario in tema di “aiuti” alla crescita per contrastare la disoccupazione attualmente in aumento fuori controllo. E per far ripartire un po’ economia e consumi in modo da dare l’impressione che dalla crisi si sia iniziato a uscire. Ed è dunque probabile che vi sarà a breve una leggera inversione di tendenza sui dati disastrosi accumulatisi passo passo negli ultimi mesi. Ma evitiamo, per favore, di cadere nella trappola di essere convinti, attraverso questi lievi miglioramenti, che questo modello, in un modo o in un altro, stia riprendendo a marciare: il fatto di varare misure così astruse, illogiche e non convenzionali, non è per superare la congiuntura del momento, ma per prendere tempo in una situazione in cui – e anche “loro” ormai lo sanno – non c’è più nulla da fare.
– Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!