Fiat e Fiat Industrial usciranno dal primo gennaio 2012 da Confindustria. Sergio Marchionne lo comunica, con due lettere, identiche, a Emma Marcegaglia e poi dice: «È un addio ufficiale – spiega poco dopo – non facciamo entrate e uscite. Il ruolo politico di Confindustria non ci interessa». La leader degli industriali replica: «le motivazioni non stanno in piedi. Rispettiamo ma non condividiamo la scelta».
Il titolo va subito giù in Borsa e chiude con un calo del 3,22% della Spa e del 5,74% di Industrial.
Marchionne, che ha ancora aperta in Usa la partita per il rinnovo del contratto Chrysler per il quale spera di evitare il ricorso all’arbitrato, non annuncia solo l’uscita da Confindustria. Mette anche due nuovi tasselli al piano di investimenti per l’Italia: un suv a marchio Jeep dalla seconda metà del 2013 a Mirafiori, dove sono previste anche le nuove versioni della Mito e architetture che permetteranno di produrre più modelli, un nuovo motore alla Fma di Pratola Serra (Avellino). Ancora incerta, invece, la produzione del suv Alfa Romeo, inizialmente previsto a Mirafiori. Plaude ai nuovi investimenti il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi che non vede nella scelta Fiat di lasciare Confindustria una bocciatura dell’articolo 8 della manovra.
«Cara Emma – scrive Marchionne – negli ultimi mesi, dopo anni di immobilismo, nel nostro Paese sono state prese due importanti decisioni con l’obiettivo di creare le condizioni per il rilancio del sistema economico. Mi riferisco all’accordo interconfederale del 28 giugno, di cui Confindustria è stata promotrice, ma soprattutto all’approvazione da parte del Parlamento dell’Articolo 8 che prevede importanti strumenti di flessibilità oltre all’estensione della validità dell’accordo interconfederale ad intese raggiunte prima del 28 giugno». Marchionne spiega che l’accordo interconfederale del 21 settembre rischia però di vanificare gli sforzi fatti, «di snaturare l’impianto previsto dalla nuova legge e di limitare fortemente la flessibilità gestionale».
E la Fiat, che «è impegnata nella costruzione di un grande gruppo internazionale con 181 stabilimenti in 30 Paesi, non può permettersi di operare in Italia in un quadro di incertezze che la allontanano dalle condizioni esistenti in tutto il mondo industrializzato». Viale dell’Astronomia, per la quale l’uscita della Fiat potrebbe comportare mancati incassi complessivi per 5 milioni di contributi, replica dopo qualche ora con un comunicato del comitato di presidenza: «Confindustria è un’associazione volontaria di liberi imprenditori. Prendiamo atto delle decisioni della Fiat pur non condividendone le ragioni, anche sotto il profilo tecnico-giuridico».
Di tono diverso i commenti dei sindacati. «La Fiat è libera di stare o non stare in una associazione imprenditoriale – commenta il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni – ma non può dire che esce perchè è stato depotenziato l’accordo interconfederale del 28 giugno. Questo non è affatto vero. Mi dispiace per la decisione, anche se apprezziamo la conferma del piano di investimenti in Italia, era quello che volevamo». Simile l’opinione di Luigi Angeletti, segretario generale della Uil: «l’uscita di Fiat da Confindustria è cosa su cui i sindacati non hanno voce in capitolo, mentre quello che interessa molto sono le decisioni su Mirafiori e Pratola Serra, premessa per garantire l’occupazione e lo sviluppo negli stabilimenti italiani del gruppo». Per la Cgil la Fiat «non vuole regole e nega la rappresentanza», mentre il segretario generale dell’Ugl, Giovanni Centrella afferma che i rapporti con Fiat «restano invariati». «A Marchionne non va bene nessun accordo, solo la parola accordo lo fa star male», commenta il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini. Sul fronte politico il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto parla di «colpo durissimo per Marcegaglia», mentre per il segretario del Pd Pierluigi Bersani è una scelta «veramente negativa».
Articolo da gazzettadelsud.it