Questa settimana abbiamo assistito all’ennesima ristrutturazione del debito greco, ma questa volta gli accordi sembrano essere il preludio della cancellazione di tutto o di una parte consistente del debito, che però avverà solo dopo delle elezioni tedesche, previste per il 22 settembre del 2013.
Tre i pilastri su cui poggia questo accordo. Primo: il riconoscimento che la Grecia non riesce ad uscire dalla trappola dell’austerità e che questa le impedisce di ridurre il deficit di bilancio ed il debito ai livelli richiesti dalla Troika (sotto il 110% del Pil entro il 2022).
Secondo: il rilassamento degli obiettivi fiscali e di bilancio, la Grecia ha più tempo, due anni, per mettere in ordine alle proprie finanze (avanzo primario del 4,5 per cento del Pil entro il 2016) e al resto della periferia.
Terzo: l’accettazione della remissione dei debiti da parte dell’Europa quale soluzione di lungo periodo della crisi del debito sovrano.
Per ora si tratta di una cancellazione del debito “nascosta”, per non scatenare le ire degli elettori dei Paesi creditori, ma tutti gli elementi per questa manovra sono presenti: imposizione di interessi bassi o pari a zero sul debito greco ed il prolungamento della maturità di questo stesso. Più devoluzione alla Grecia degli interessi accumulati dai propri titoli di Stato, circa 7 miliardi di euro, detenuti dalla Banca centrale europea, nonché concessione di linee di credito da parte del meccanismo di stabilità a condizioni molto favorevoli affinché la Grecia possa riacquistare il suo debito (al 35 per cento sul valore nominale).
È questo un compromesso che soddisfa, per ora, un po’ tutti: per la Bce rimpatriare i profitti del debito greco non è un finanziamento diretto al governo greco. Per il Fondo monetario l’accordo mantiene l’illusione della sostenibilità nel lungo periodo, condizione per concedere altri aiuti. E per la Grecia si tratta della cancellazione di una buona parte del debito e della concessione di sussidi per il pagamento degli interessi che le permetteranno di introdurre altre riforme strutturali, sempre rimanendo nell’euro.
Irrisolta è la condizione economica greca, che rimane profondamente recessiva a causa della scasa competitività dell’economia nazionale. Ed ecco il nocciolo del problema dell’Eurozona, non è tanto il debito che blocca la crescita ma la perdita di competitività prodotta dall’euro. Un problema che tutti i Paesi della periferia condividono, inclusa l’Italia, e che prima o poi Bruxelles dovrà risolvere.
Articolo ripreso dal sito caffe.ch